La mia giornata finisce qui, sta per finire qui, in mezzo ai miei due figli, l’uno affetto da bruxismo, l’altra colpita da bronchite asmatica…ok lo so, la mia giornata non finirà davvero ma si protrarrà tossendo e digrignando fino all’alba. Allora, una lancia acuminata di luce mi si conficcherà nelle orbite costringendomi alla veglia, quella ufficiale, anche se probabilmente mia figlia Emma, puntuale come il Big Ben, mi avrà già svegliata appena prima della sveglia per reclamare la sua dose di latte (non ho una bambina ma una vitellina di 3 anni, da 1 litro e mezzo di latte al giorno, per tre biscotti cada biberon).
Diventare mamma significa indubbiamente rinunciare alla scansione temporale tradizionale per lasciare il posto a quella nuova che va abbracciata da subito come una religione orientale.
Di cosa si tratta esattamente? Presto detto, la nuova scansione temporale giorno-notte, dalla neo mamma in poi, semplicemente non esiste.
Il giorno e la notte sono due concetti astratti a cui le azioni abbinate di veglia e sonno non appartengono più. Il tempo si dilata all’infinito in un eterno fluire cosmico e ogni momento vissuto insieme ai propri figli diventa parte integrante di un’unica lunghissima giornata, di un’avventura, la più incredibile, appassionante, surreale e ininterrotta.
Oltretutto le rare volte in cui io e mio marito ci siamo ritagliati dei fine settimana per noi due soli da quando esistono i bambini il mio battito materno da combattimento non è riuscito a rilassarsi un granché, obbligandomi a saltare in piedi all’alba anche quando, per una volta, avrei potuto dormire.
Nemmeno i padri sono immuni dalla patologica sindrome d’inversione temporale e credo di poter affermare con assoluta certezza che se questo vale per mio marito, vale per tutti.
Bernardo, mio marito, è il classico esempio di premuroso papà medio: una volta posato il suo adorabile capino sul cuscino cade in uno stato di morte apparente, ripone le orecchie in una confezione a tenuta stagna che getta in fondo al mare e si pietrifica centuplicando il suo peso fino a diventare un monolite inamovibile conficcato nel letto.
Per farvi capire meglio il soggetto, all’inizio della nostra storia è capitato che si addormentasse al telefono…i nostri bambini sono riusciti a piegare anche lui…povero amore mio.
Una notte di non molto tempo fa Bernardo russava, mi ha svegliato e io per farlo smettere gli ho toccato il braccio. Ok, lo ammetto, gli ho tirato un pugno.
Lui, senza dire una parola (provate a immaginare la mia faccia mentre nel frattempo lo osservavo sgomenta), si è alzato ed è andato in cucina. Ormai sveglia e seduta nel letto, l’ho sentito trafficare per cinque minuti.
E’ tornato stringendo fra le mani due biberon… la forza dell’abitudine.
Stasera fra i piccoli colpi di tosse di Emma e i cigolii odontoiatrici di Leonardo mi sento stanca, stravolta, come sempre da quando esistono, ma felice, completa, come sempre da quando esistono. Poi vuoi mettere il vantaggio? La notte non fa più paura, non c’è!