Alcuni giorni fa, in un convegno di Confindustria, il Ministro per lo sviluppo economico Passera ha rilanciato un tema di cui, da alcuni mesi a questa parte, si è iniziato a discutere con insistenza.
Si tratta della cosiddetta agenda digitale, ovvero uno strategia coordinata dal governo per promuovere lo sviluppo digitale del nostro paese attraverso una serie di misure (prioritaria la diffusione della banda larga) al fine di superare il gap disarmante che divide l’Italia dalle altre nazioni in termini di innovazione e uso di nuove tecnologie non solo nell’amministrazione pubblica ma in tutti i settori della società.
In Italia solo il 58,7% dei cittadini può accedere alla rete, contro il sorprendente 97,8% dell’Islanda e come tasso di penetrazione del web nella vita dei cittadini figuriamo al 58esimo posto.
Non sono più confortanti i dati relativi alla velocità media di connessione che ci vede ventiduesimi e distaccati di ben ventuno posizioni dalla Romania (prima in Europa).
Disarmanti anche i dati, ed è questa lo cosa più preoccupante, relativi agli investimenti digitali nel quinquennio 2004-2009 che hanno contribuito alla crescita del Pil italiano del 12% contro il 33% svedese, il 24% tedesco e il 23% inglese.
Qualcosa pare iniziarsi a muovere. Se si digita su Google “agenda digitale” compaiono due siti internet. Su agendadigitale.org leggiamo:
“Per i giovani che si costruiscono una prospettiva, per le piccole imprese che devono competere nel mondo, per i cittadini che cercano una migliore qualità della vita, l’opportunità offerta dalla tecnologia è irrinunciabile. […] La politica ha posto la strategia digitale al centro del dibattito in tutte le principali economie del mondo. Ma non in Italia. […] Ci rivolgiamo a tutte le forze politiche, nessuna esclusa, sollecitando il loro impegno a porre concretamente questo tema al centro del dibattito politico nazionale”.
Una richiesta più che legittima che sta sensibilizzando sempre più l’opinione pubblica.
Un modello per la realizzazione di un’agenda digitale realmente incisiva nella società è sicuramente quello estone.
L’Estonia è uno stato con meno di un milione e mezzo di abitanti ma tra i più innovativi al mondo come si apprende dall’articolo pubblicato su “La lettura” del Corriere della Sera di due settimane fa in un articolo a firma di Marco Ascione dal titolo “L’agenda digitale? Copiamola dall’Estonia”.
E’ straordinario capire come attraverso l’uso della tecnologia nella pubblica amministrazione si abbattano non solo i costi ma si snellisca tutto l’apparato burocratico che è la croce del nostro paese.
Fare la dichiarazione dei redditi online, pagare il parcheggio con il cellulare, ottenere via web le ricette mediche? Possibilità che in Italia sembrano fantascienza ma che in Estonia, e non solo, sono realtà. Così come votare via internet una procedura già adottata nel paese baltico.
Non tutti sanno che Skype, il celebre programma che permette per video chiamare gratuitamente dal web, ha origine proprio in Estonia, un esempio in più di come innovazione, crescita economica e creazione di nuove realtà imprenditoriali vadano di pari passo.
A conferma dell’arretratezza del nostro paese da questo punto di vista vi racconto un episodio. Alcuni mesi fa mi recai a Stoccolma e una sera in un pub, dopo aver chiesto una birra, il barista mi richieste la carta d’identità che prontamente mostrai. Quest’ultimo si rifiutò di servirmi asserendo che la mia carta d’identità fosse falsa ma accettò la patente di un mio amico.
La carta d’identità elettronica è infatti ormai una realtà in tutti i paesi d’Europa, solo in Italia continuiamo ad avere l’obsoleto documento d’identità di carta.
Come risolvere questo gap che ci separa dai paese più avanzati?
Una giusta e incisiva azione del governo potrebbe non essere sufficiente se non affiancata da una nuova consapevolezza da parte di tutta la popolazione, giovani in primis, sull’importanza che le nuove tecnologie hanno acquisito nella società contemporanea.
Un’ulteriore proposta, a firma di Fabio Chiusi, sempre sul Corriere sarebbe quella di un “freedom of Information Act”: “una legge, cioè, che obblighi le amministrazioni pubbliche a rispondere alle richieste di dati da parte dei cittadini: dalle spese dei politici ai criteri della polizia postale per la sorveglianza online”.
Un criterio di trasparenza che in questo periodo in Italia sarebbe più che auspicabile.
Stiamo vivendo un momento cruciale per la costruzione della società del futuro, cerchiamo di approfittarne, non farci cogliere impreparati.
Francesco Giubilei
TWITTER @francescogiub