Lo scrittore rampanteAnnunciamo all’aspirante scrittore che l’Ottocento è finito da un pezzo. Si prega di astenersi da descrizioni, lungaggini e altre amenità

Ho dedicato il sabato alle pulizie straordinarie. Tra le quali è rientrata (finalmente) la sistemazione dello studio e della libreria. Tra le varie scartoffie abbandonate, libri che avevo dimentica...

Ho dedicato il sabato alle pulizie straordinarie. Tra le quali è rientrata (finalmente) la sistemazione dello studio e della libreria. Tra le varie scartoffie abbandonate, libri che avevo dimenticato di possedere, saggi che ho fatto male a comprare, giornali ingialliti e volumi allegati ai quotidiani è saltato fuori pure Lui. Il romanzo dei romanzi. Quello che devi aver letto per forza. Quello che è stato l’incubo di tutti i liceali. Quello che a cicli alterni i progressisti della cultura nostrana minacciano di volere bandire dai programmi scolastici. Quello che poi lo rileggi a trent’anni e magari ti piace. Insomma, I Promessi Sposi. La sua epifania è avvenuta addirittura in duplice copia: la versione scolastica (un volume di 2000 pagine che respingerebbe lo stesso Manzoni) e quella di mia madre, una brossura rilegata pure più raffinata, ma sempre massiccia. Ho aperto il volume e sono andata alla prima pagina. E l’impatto iniziale è stato con la descrizione forse più celebre di tutta la letteratura italiana:

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.

Così celebre questo passo, che ormai pensiamo che le descrizione debbano essere necessariamente di questo tipo. Verbose, iper dettagliate, estenuanti al punto che poi i lettori le saltano in blocco per inseguire la narrazione bruscamente interrotta.

Nella società dell’immagine ha ancora senso fare digressioni su luoghi, persone, contesti, fatti storici? Il lettore – che è un forzato dell’immagine – può reggere ancora questa mania degli scrittori per le descrizioni a tutti i costi? Noi autori possiamo permetterci periodi costruiti con mille subordinate? Mi azzardo a rispondere di sì, se la parentesi risulta strettamente connessa alla narrazione. Un esempio perfetto lo troviamo all’inizio de Il grande sonno di Raymond Chandler:

Erano pressappoco le undici del mattino, mezzo ottobre, sole velato, e una minaccia di pioggia torrenziale sospesa nella limpidezza eccessiva là sulle colline. Portavo un completo blu polvere, con camicia blu scuro, cravatta e fazzolettino assortiti, scarpe nere e calzini di lana neri con un disegno a orologini blu scuro. Ero corretto, lindo, ben sbarbato e sobrio, e me ne sbattevo che lo si vedesse. Dalla testa ai piedi ero il figurino del privato elegante. Avevo appuntamento con quattro milioni di dollari.
Tutta la descrizione corre verso quell’«avevo appuntamento con quattro milione di dollari». Tutto il preambolo è funzionale, serve a rientrare nella narrazione vera e propria con qualche elemento in più.

Discorso molto simile si potrebbe fare per la Trilogia della città di K. di Ágota Kristóf (che come avrete capito, è uno dei miei libri preferiti visto che lo cito per la seconda volta in pochi giorni). Pochi e asciutti cenni per capire la città e la casa dove vivono i due piccoli protagonisti:

La casa di Nonna è a cinque minuti di cammino dalle ultime case della Piccola Città. Più avanti c’è solo la strada polverosa, subito interrotta da una sbarra. È proibito andare oltre, un soldato monta la guardia. ha un mitra, un binocolo e quando piove si ripara sotto una garitta. sappiamo che al di là della sbarra, nascosta dagli alberi, c’è una base militare segreta e, dietro la base, la frontiera e un altro paese. La casa è circondata da un giardino in fondo al quale scorre un ruscello, poi è la foresta. Il giardino è coltivato con ogni sorta di verdure e alberi da frutto. in un angolo ci sono una conigliera, un pollaio, un porcile e un capanno per le capre. Abbiamo provato a salire in groppa al più grosso dei maiali, ma è impossibile restarci sopra.

Vogliamo inserire una descrizione? Bene, ma a patto che che non sia gratuita. Tutte le volte che siamo tentati dalla digressione forbita chiediamoci se è davvero necessaria a restituire un clima e se è davvero originale. Dovremo fare insomma lo sforzo di trovare una chiave, un taglio che coinvolgano il nostro lettore. Del resto fare a meno delle descrizioni non si può: spesso è proprio da un dettaglio o da un luogo che la storia nasce.

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