Sono passati due anni dal concorso indetto dall’Università di Bari e rivolto ai ricercatori, per un lavoro a tempo indeterminato. E di un contratto d’assunzione, per i 31 ragazzi e ragazze, neanche l’ombra. Con tali premesse, nella mattinata del 19 giugno, i vincitori del concorso hanno dato vita ad una protesta, nel cortile dell’Ateneo barese, rivolgendo un appello al ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, di “accelerare le procedure che autorizzino l’Università di Bari ad assumerli”.
La manifestazione, con la collaborazione della Flc Cgil, si è svolta in concomitanza con la riunione del Consiglio di amministrazione, alla quale i manifestanti stessi hanno chiesto un intervento di supporto. Edoardo Renna, Flc Cgil: “Oggi si riunisce il Consiglio di amministrazione dell’Università: speriamo ci ricevano per confermarci di aver consegnato al ministero tutta la documentazione e per comunicarci eventuali novità”. Un nervo scoperto poi, quello toccato da Renna: “E’ ingiusto che in Italia si facciano leggi per incentivare il ritorno dei cervelli dall’estero, ma non si assumano ricercatori che hanno vinto un regolare concorso”.
“Siamo stufi di essere ricercatori fantasma. Attendiamo di essere assunti dal 2010, da quando il ministro Gelmini impedì il turn over nelle Università che superavano del 90% il rapporto tra fondo di finanziamento ordinario (Ffo) e spesa per il personale. E che per questo erano considerate non virtuose, proprio come l’Università di Bari”, ha spiegato Gioacchino Tempesta. Se non fosse che però, dal 18 maggio questo divieto non esista più in virtù del decreto attuativo del 29 marzo 2012, grazie al quale sono stati rivisti i criteri di spesa che tengono conto, per il calcolo delle entrate, anche delle tasse Universitarie. “E questo ha fatto scendere all’80% il rapporto tra Ffo e spesa per il personale, facendo rientrare l’Ateneo di Bari fra quelli virtuosi e permettendogli di assumere”, ha infine spiegato lo stesso Tempesta.
In questo momento i ricercatori e aspiranti tali sono in attesa che il ministero certifichi che i conti dell’Università siano in regola, comunicando quindi la definizione dei nuovi punti organico. “Proprio ieri sono scaduti i termini ma il ministero si è preso un altro po’ di tempo, prorogando la scadenza al prossimo due luglio”, hanno precisato alcuni dei ricercatori presenti alla manifestazione. Una decisione che, secondo loro, “mette in difficoltà anche l’università di Bari che negli ultimi due anni, tra ordinari e associati, ha visto andare in pensione 460 unità ed è quindi sotto organico”.
Un momento non semplice e poco chiaro per il futuro dell’istruzione italiana e nel caso specifico pugliese, soprattutto in virtù di quanto accaduto nella stessa giornata, ma dall’altra parte della città. La Lum, Libera università mediterranea con sede a Casamassima ed in procinto d’inaugurare la propria succursale a Trani, ha scatenato non poche polemiche tra diversi politici, rappresentanti sindacali e cittadini: “Non c’è e non ci può essere nessuna succursale a Trani perché vietato”, ha spiegato l’assessore regionale Alba Sasso. La Lum, rea d’aver lanciato i corsi di Giurisprudenza ed Economia, non potrà tenere lezioni nè esami ma solo tutoraggio, stando a quanto dichiarato dal Comitato universitario regionale di coordinamento, un’assise composta dai rappresentanti di tutte le università pugliesi. “La Lum può fare solo il Cepu nella provincia Bat, niente di più”, ha ulteriormente precisato l’assessore regionale Alba Sasso.
Eppure la provincia Bat e i comuni del Patto territoriale nord barese ofantino hanno deciso di stanziare 700mila euro da destinare alla Lum, garantendo di conseguenza una borsa di studio per merito e/o necessità ad ogni studente di Trani intenzionato ad iscriversi all’Università della Discordia. Il Comitato universitario regionale di coordinamento: “Non ci sembra legittima l’erogazione da parte di un ente pubblico di somme così rilevanti a favore solo degli studenti che operino la scelta di iscriversi a un determinato ateneo, escludendo, in tal modo, tutti gli altri studenti, in aperta violazione del principio di par condicio”.
Il segretario regionale della Uil, Domenico Raimondo, ha poi insistito: “Una scelta di dubbia legittimità oltre che politicamente inopportuna. Non si possono utilizzare fondi pubblici per sostenere il mercato di una azienda privata“. E ancora una volta, tocca chiedersi, quanto e perché la cultura debba avere un prezzo: “Le tasse è meglio metterle ai poveri che sono tantissimi, che volete i ricchi d’altronde sono così pochi”.