Siamo tutti anonimi, ma alcuni sono un po’ più anonimi di altri.
A leggere le noizie relative all’attacco informatico subito dal blog di Beppe Grillo non ho potuto far altro che richiamare alla mente questa citazione tratta da “Anonymous. La grande truffa” di Raffaele Alberto Ventura.
Quale condizione migliore per verificarne la veridicità?
Ma riassumiamo con calma i fatti: per qualche ora il blog di Beppe Grillo è reso inacessibile da un attacco DDos rivendicato sul blog ufficiale di Anonymous Italia.
Una serie di Tweet pubblicati sull’account di @anonitaly si avvicendano per negare che l’attacco sia stato proposto dal loro gruppo:
Una nota interessante compare in serata a far riflettere su chi trae vantaggio da Anonymous.
Come si può notare dai tweet, chi legge dovrebbe avere chiaro in mente che Anonymous ha una sua struttura e un suo modo di procedere e arrivare a comprendere come stanno i fatti approfondendo più fonti.
Ma se le fonti “ufficiali” non valgono più, cosa considerare come nuova ufficialità?
Nel corso della notte la rivendicazione sul blog viene rimossa, assieme ai 700 commenti ricevuti, e al suo posto compare una “spiegazione” dei fatti: l’attacco era opera di una cellula che aveva i mezzi, ma non l’appoggio della comunità, l’attacco sarebbe stato posto sotto sondaggio degli utenti. Nel corso della notte il post chiarificatore raccoglie già più di 70 commenti…
E il sondaggio adesso sta lì, nella home page del loro blog. Votabile, a quanto pare, da chiunque.
Se non fosse che stiamo parlando del discutere attorno alla legittimità di un reato che contempla il diritto d’opinione e alcuni principi inalienabili della nostra Costituzione, parrebbe quasi una telenovelas.
Beppe Grillo il giustizialista oserà denunciare a chi di competenza quanto subito o classificherà il tutto nella categoria “son ragazzi”?
Ma la domanda che più mi sta a cuore è: sarà magari questa la volta buona di un Anonymous is DOWN?
Lo spero.
Quello che poteva essere un buon tessuto per la produzione di nuova cultura politica si è affossato in una sorta di autocompiacimento finalizzato tutt’al più a tappare i buchi di qualche quotidiano.
L’azione politica, tanto più quando si vuole mescolare alla disobbedienza (ma dimostare che la disobbedienza all’idea di reato, rispetto a certi attacchi informatici, porti a un bene collettivo non è un ovvietà…) richiede strade e percorsi complicati.
Perchè complesso è l’inconto di idee, la costruzione di pensieri, l’analisi sulle proprie azioni. E sopratutto farsi capire, sempre che lo si desideri sul serio.
Pensare basti il saper portare a termine un attacco di forza bruta per ottenere legittimazione, beh, mi pare banalizzare abbastanza non solo il modo in cui le notizie arrivano alla gente.
Perché siceramente è un modo di fare che non produce niente. Si ferma li e al massimo permette un momento di gloria, un po’ di fama.
Come da manuale berlusconiano.
Ne abbiamo davvero ancora bisogno?
(Al massimo produce veglie mal pagate a qualche tecnico, notti in bianco per i nuovi operai del nostro secolo: non è certo il modo migliore per farsi voler bene.)