Adottiamoci tanto bene“Chemimporta?”

Una delle espressioni preferite di nostra figlia Anna è: “Chemimporta?”. Viene pronunciata per lo più quando non riesce a portare avanti una piccola impresa, sia un puzzle troppo difficile o un gi...

Una delle espressioni preferite di nostra figlia Anna è: “Chemimporta?”. Viene pronunciata per lo più quando non riesce a portare avanti una piccola impresa, sia un puzzle troppo difficile o un gioco di gruppo in cui non trova un ruolo di suo gradimento. A differenza della sorella maggiore, che finché non la spunta non molla l’osso, Anna fa un sorrisetto, pronuncia il suo personale “abracadabra” e passa a un’occupazione a lei più acconcia. In genere cerco di invitarla a insistere, a provarci ancora, ma a essere sincera non ho l’impressione che si scoraggi, piuttosto che decida di cambiare momento, di rimandare a un’occasione più propizia. E diverse volte infatti l’ho vista ritornare sui suoi passi, quando nessuno la osservava, e andare a finire quel puzzle o a ricostruire il gioco interrotto.

I figli adottivi sono bambini resilienti. Mi sono imbattuta in questo termine durante l’iter di preparazione e confesso che non lo avevo mai sentito prima. La resilienza è un termine mutuato dalla fisica, in opposizione a resistenza, e definisce un corpo capace di resistere all’urto senza spezzarsi, ma modificando la sua forma in modo da adattarsi alla nuova situazione. Anche i nostri bambini sono così, hanno imparato sin da piccolissimi che cosa significa provare il dolore – quello grandissimo di un abbandono materno – e vi sono sopravvissuti. Non che non ne portino i segni, ma oltre al segno negativo dell’abbandono – quello che spesso fa dire agli altri “poverini” – c’è anche il segno positivo di chi malgrado tutto si è rialzato, e con le sue forze è arrivato fino a te. “Non importa quante volte si cade, ma il tempo che ci si mette a rialzarsi”, recita un vecchio adagio dell’America dei veterani, e i figli adottivi si caratterizzano per una grande capacità di ripresa, anche quando la caduta è stata brutta.

Il piccolo Vladi, ad esempio, che sta scalando a fatica le impervie vette della lingua italiana, ai giardinetti batte gli altri bambini sulle arrampicate e sui salti, che affronta con una determinazione e una prudenza direi adulte, senza tentennamenti. Una volta una signora mi ha detto: “Stia attenta signora, il bambino sta salendo lo scivolo al contrario, è piccolo, non vorrei si facesse male”. L’ho ringraziata per la premura e con fare sollecito sono andata vicino a lui, ma dentro di me ero di una serenità olimpica: non si sarebbe fatto nulla, lo sapevo con indubitabile certezza…

Molto dipende dal nostro sguardo di genitori: è difficile, soprattutto all’inizio, non guardare i nostri figli con la lente del loro passato, immaginando che il loro mistero sia chiuso in quel tempo che ha preceduto l’incontro con noi. Ma in quel passato non c’è solo dolore, bensì anche il segreto della loro forza, ciò che ne fa dei bambini forti, sensibili, determinati, capaci di resistere agli urti senza andare in pezzi. “Mamma, guarda come sono coraggiosa”, dice sempre Sofia prima di fare un tuffo in piscina. Se nei miei occhi vede la paura, avrà paura, ma se vede il sorriso della fiducia, farà quel tuffo come ha fatto tutti i tuffi fino a quel momento. Anche quando non c’era nessuna madre a guardarla.

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