Sarà per inguaribile deformazione professionale, o, più realisticamente, per una certa difficoltà a capirne talvolta il pensiero, ma ogni volta che Benedetto XVI pronuncia un discorso la tendenza dei media è quella di collegare le sue parole, stravolgendone spesso il significato, ai casi di cronaca di più stretta attualità. Stavolta, però, un’eccezione è giusto farla.
L’omelia del pontefice in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo, pronunciata venerdì 29 giugno nella Basilica vaticana, può essere molto utile per leggere, in chiave più profonda e senza banalizzazioni, anche gli scandali del Vatileaks e comprendere la natura della Chiesa che, come dicevano i Padri, è “immaculata ex maculatis”: pura e senza macchia nel suo Mistero, che è Cristo stesso, e troppo spesso corrotta e degenere nel suo apparato istituzionale.
«Le porte degli inferi “non prevalebunt”», cioè «il potere distruttivo del male» non vincerà sulla Chiesa, che ha «futuro in quanto fondata da Cristo», ha detto il Papa in apertura della celebrazione. Poi ha proseguito: «Il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo», anche se, «lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare». Per concludere: «La Chiesa non è una comunità di perfetti ma di peccatori, che si debbono riconoscere bisognosi dell’amore di Dio e di essere purificati. Ma il potere di rimettere i peccati è una grazia che toglie energia alle forze del caos e del male ed è nel cuore della Chiesa».
Il pontefice si è poi soffermato sulla figura di Pietro, che subito dopo essere stato dichiarato “roccia” della Chiesa da Gesù, su cui appunto «le forze del male non prevarranno», non accetta l’annuncio della sua imminente passione e morte da parte dello stesso Gesù. Per Benedetto XVI, in questo passaggio, emerge «la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane», una tensione che anticipa «il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzata proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall’alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare».
Da teologo finissimo ma anche da persona profondamente realista – il realismo, infatti, è la prima virtù del cristiano – Benedetto XVI sa benissimo che la Persona della Chiesa, Gesù Cristo, non va confuso con il personale della Chiesa. Guai, come disse una volta, a scambiare la perla dal suo pur sgraziato involucro. Anche se, e la sua azione di denuncia contro la pedofilia ne è la testimonianza più chiara, questo non significa essere indulgenti contro gli scandali che coinvolgono gli uomini di Chiesa.
Questa straordinaria lezione non vale solo per la realtà ecclesiastica, che è divina nel suo fondamento e umana nelle sue componenti, ma anche per ogni organizzazione fatta di uomini, dalle istituzioni alla politica, dalle aziende alla famiglia, dove, come nel campo evangelico, grano e zizzania convivono inevitabilmente mescolati fra loro perché dove c’è l’uomo, là c’è anche l’imperfezione, il peccato, talvolta anche la miseria. Nessuno – è l’esperienza quotidiana a dirlo – può arrogarsi il diritto di sradicare la zizzania senza il rischio di togliere via anche il grano buono.
Nessuno, s’intende, a parte certi moralisti à la page, tipo Eugenio Scalfari, che su “Repubblica” del 27 maggio scorso (http://www.repubblica.it/politica/2012/05/27/news/scalfari-35992713/) parlava della «disperazione di Papa Ratzinger, chiuso nelle sue stanze e manifestamente incapace di tener ferma la barra in un mondo pervaso da cupidigie, ambizioni, complotti e contrastanti visioni della Chiesa futura». Per poi concludere, dopo una serie di scempiaggini teologiche, invocando un repulisti generale sulla Chiesa che con questo pontefice cocciuto e reazionario non si decide finalmente a fare pulizia al suo interno: «Il pontificato lezioso», ha profetizzato il Nostro, «andrà avanti finché potrà, poi non ci sarà il diluvio ma una pioggia da palude piena di rane, zanzare e qualche anitra selvatica. Quanto di peggio per tutti».