Adottiamoci tanto beneGiocare sì, giocare no

Alzi la mano, fra i rappresentanti della generazione dei quaranta-cinquantenni, chi ricorda i propri genitori intenti a giocare con loro, come fosse un impiego a tempo pieno. Non credo siano molti...

Alzi la mano, fra i rappresentanti della generazione dei quaranta-cinquantenni, chi ricorda i propri genitori intenti a giocare con loro, come fosse un impiego a tempo pieno. Non credo siano moltissimi, anche se hanno avuto infanzie serene e non si sono sentiti trascurati. Le nostre madri si occupavano di noi, provvedevano a che tutto funzionasse meglio che si poteva, ma raramente l’accudimento sconfinava nel gioco in senso stretto. I padri lavoravano fino a sera, e magari tornati a casa intrattenevano qualche breve attività ludica, ma insomma con moderazione e senza grandi sperticamenti di fantasia.

Oggi giocare con i propri figli è un lavoro vero e proprio, e non c’è molta differenza fra madri e padri: si devono impegnare tutti e due. C’è chi si butta sui giochi fisici, tipo nascondino, acchiapparella, ruba bandiera, uno due tre stella, e chi invece si trova meglio con i giochi da tavolo, dal domino e le forme magnetiche per i più piccini fino ai puzzle o il Monopoli col passare degli anni. Ma non ci si ferma qui. Il mondo del bricolage, ad esempio, offre infinite applicazioni, dalla pittura delle tazzine alla realizzazione di aquiloni o borsette di cartone. Vanno a ruba, tra le mamme, libretti dai titoli: “50 idee di cose da fare con i bambini”, “Come trascorrere un pomeriggio di pioggia”, “I segreti dell’animatore” e analoga letteratura.

Tra le ragioni di tanto frenetico attivismo c’è senz’altro l’esigenza di colmare le assenze dovute al lavoro con un tempo interamente dedicato ai figli, ma non solo, tant’è che le mamme a tempo pieno non sono esentate dalla vita giochereccia, e come le altre passano diverse ore pomeridiane sedute sul tappeto o accovacciate sulle sedie dei sette nani, quando non a gattonare tra i divani. Non tutte, diciamocelo, lo vivono come un divertimento: come per altre attività domestiche, c’è chi è più portata e chi meno, chi in fondo si diverte a costruire pupazzetti di das e chi invece detesta districarsi tra costruzioni Lego e acconciature per bambole. La domanda da porsi peró non è se ci piaccia o meno, ma se ai bambini faccia bene o no.

La mia impressione è che giocare con i propri figli sia un modo utile per entrare in contatto con il loro mondo – vedere se sono pazienti, se sanno arrivare fino alla fine di un gioco, se si concentrano o se hanno sempre bisogno di un assistente – e anche per insegnare loro qualche regola di comportamento. Un po’ fa bene anche ai grandi, chiamati ad esplorare parti di sé che probabilmente non hanno modo di venir fuori nelle relazioni adulto-adulto. Ma se poi i bambini non vengono lasciati mai soli si finisce per rendergli più difficile l’organizzazione del tempo (da cui quell’ammissione di sconfitta rappresentata dalle feste con l’animatore, in cui in pratica si riconosce che i nostri figli non sono in grado di giocare per conto proprio) e per non insegnargli cose che nella vita serviranno sempre, come convivere con la noia di una domenica pomeriggio.

Leggi il post originale su www.amalteablog.com