Traggo spunto da un fatto di cronaca per affrontare un tema caro a tutti i genitori, ovvero l’incolumità dei propri figli durante l’orario scolastico.
Veniamo all’episodio.
Con atto di citazione, il signor Tizio padre di un’alunna ha convenuto in giudizio il Ministero dell’istruzione, dell’Università e della ricerca, l’hotel xxx e i genitori della compagna di scuola per ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito di un infortunio occorso in data xx/xx/xxxx durante una gita scolastica.
Di seguito l’accaduto:
La figlia sedicenne, durante la gita scolastica, scavalca il parapetto in muratura della sua stanza d’albergo, insieme ad una compagna per “rollarsi” uno spinello offerto da quest’ultima.
Le due s’inoltrano su una terrazza attigua a livello, non protetta da recinzioni e l’alunna precipita dallo stesso (per due piani) riportando gravissime lesioni.
Ritenendo l’episodio addebitabile a responsabilità dell’Amministrazione (leggi: scuola), dell’albergatore e dei genitori della compagna (la procacciatrice di spinelli), il padre della ragazzina ha pertanto adito il Tribunale per sentir condannare i convenuti all’integrale risarcimento dei danni in suo favore (danno biologico e danno morale ed per spese documentate).
L’Avvocatura dello Stato (nell’interesse dell’amministrazione), l’albergatore e i genitori della compagna di scuola si sono costituiti in giudizio, contestando nel merito la fondatezza delle pretese avversarie e chiedendone, quindi, la reiezione.
In primo ed in secondo grado le doglianze della sfortunata sedicenne non sono state accolte, ma con il ricorso in Cassazione tutto è mutato.
Il Supremo Consesso, infatti, ribalta le decisioni di merito e ritiene sussistere la responsabilità da cosa in custodia ex art. 2051 c.c. sia in capo all’amministrazione, sia all’albergatore.
Per contro, esclude la responsabilità dei genitori dell’altra ragazza per carenza probatoria, posto che nei due gradi di giudizio non era stato possibile stabilire la sostanza stupefacente assunta (esito negativo degli esami tossicologici).
La decisione della Corte di Cassazione è in linea con i recenti arresti giurisprudenziali in tema di responsabilità per le cose in custodia che affermano il principio per il quale “La responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. è esclusa soltanto quando il danno sia eziologicamente riconducibile non alla cosa, ma al fortuito senza che rilevi che questo sia costituito da un comportamento umano, nel fatto cioè dello stesso danneggiato o di un terzo” (Cass. 13.5.1999, n. 4757; v. anche Cass. 26.3.2002, n. 4308, Cass. n.16607/08).
La giurisprudenza della Suprema Corte sul punto ha avuto modo di evidenziare come solo se l’evento dannoso è stato cagionato da caso fortuito (rappresentato anche da un fatto imputabile alla stessa persona danneggiata), la responsabilità del custode verrà meno e il fortuito risulterà idoneo ad interrompere il collegamento causale tra la cosa ed il danno (v. Cass. 17.1.2001, n. 584). Una volta che sia stato accertato, pertanto, in via di fatto, che l’evento lesivo sia stato cagionato esclusivamente dal fortuito o dal comportamento totalmente imprudente o negligente del danneggiato, giustamente il Giudice escluderà, che possa trovare applicazione la responsabilità oggettiva del custode ex art. 2051 c.c.
Quest’ultima, infatti, presuppone la diversa ipotesi dei danni cagionati dalla cosa in custodia per la sua intrinseca natura ovvero per l’insorgenza in essa di fattori dannosi.
Nel caso in analisi, la Corte ritiene sussistente la prova del nesso causale tra la cosa che ha provocato l’incidente e l’evento dannoso, escludendo, però, che la vittima, usando la dovuta diligente, avrebbe potuto percepire l’estrema pericolosità.
In poche parole, la ragazza sedicenne non poteva percepire il pericolo costituito dallo scavalcare un parapetto in muratura posto al di fuori della finestra della sua stanza d’albergo (al secondo piano) per poter accedere ad una terrazza a livello non protetta da recinzione, ma che dava direttamente nel vuoto.
Veniamo pertanto ai “rimproveri” da muovere all’albergatore e all’istituto scolastico.
Il primo avrebbe dovuto dotare la struttura esterna d’idoneo parapetto.
Quanto all’istituto scolastico, si rimprovera all’insegnante di non aver controllato le condizioni delle camere stesse e non aver valutato inaffidabile la struttura alberghiera.
Dunque, ci si duole della mancanza di custodia… la cui prova, come detto, ai sensi dell’art. 2051 c.c. non è ardua: infatti, la stessa verte esclusivamente sul nesso causale, rimanendo a carico del custode l’onere di provare ad aver adottato in via preventiva tutte le misure disciplinari o d’organizzazione idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo.
La vicenda è naturalmente tragica, posto che coinvolge una minore che, da quanto emerso, è rimasta gravemente danneggiato.
Nonostante ciò, mi chiedo: a sedici anni è così scontato che non sia abbia la maturità per capire che, ponendosi su un parapetto senza muretto al secondo piano di un palazzo c’è il rischio di cadere e farsi male?
E sino a che punto si deve spingere il dovere di diligenza che la Cassazione addossa all’Istituto scolastico (ed ai professori)? Come si può pretendere che un insegnante debba immaginarsi che due studentesse si arrampichino sul cornicione per rollarsi uno spinello?
Non so’ rispondere a questi interrogativi, né ritengo di avere la competenza per farlo… ma il dubbio rimane…
A.M.
11 Giugno 2012