Gli interventi del Fondo Monetario Internazionale sono stati spesso criticati sulla base di una presunta predisposizione a tutelare gli interessi politici ed economici dei paesi del G7. L’analisi dei prestiti del Fondo durante la crisi conferma questa ipotesi, ma evidenzia che il Fondo ha anche svolto un ruolo di prevenzione della crisi, segnalando un cambiamento rispetto al passato.
In risposta alla crisi finanziaria globale, le istituzioni finanziarie internazionali – Fondo Monetario Internazionale (FMI) e Banca Mondiale in primis – hanno enormemente aumentato il loro impegno nei confronti dei paesi in via di sviluppo con l’obiettivo di contrastare gli effetti negative della crisi e sostenere la ripresa economica. In particolare, il FMI ha invertito un processo di downsizing, relativo alla sua sfera d’azione e al proprio budget finanziario, aumentando sensibilmente la propria capacità di prestito.
Al di là delle questioni relative al budget, vi è poi un acceso dibattito su come riformare il Fondo e come ripensare il suo ruolo in un’economia globalizzata. Il cuore della discussione risiede nella necessità o meno di aggiungere alla tradizionale funzione attribuita al Fondo negli accordi di Bretton Woods di fornire assistenza finanziaria di breve periodo per superare gli squilibri di bilancia dei pagamenti dei paesi membri, una più ampia responsabilità di prevenzione di crisi finanziarie ed effetti contagio. Ciò avverrebbe attraverso la concessione del proprio sostegno finanziario a quei paesi che, pur portando avanti politiche economiche “prudenti” e non soffrendo di un’immediata carenza di riserve, si trovino ad essere particolarmente vulnerabili a shock esterni e a possibili problemi di liquidità.
In quest’ottica, dal 2008 il Fondo si è dotato di strumenti d’intervento più flessibili per aiutare i paesi membri a prevenire improvvisi crolli di fiducia da parte degli investitori internazionali e lo scoppio di pericolose crisi di liquidità. Sebbene sia presto per giungere a una valutazione compiuta dell’efficacia di questi nuovi strumenti di prestito a disposizione del Fondo, l’evidenza aneddotica sembra indicare che i paesi che hanno usufruito di questo tipo di prestiti sono stati capaci di affrontare la crisi globale evitando crisi bancarie sistemiche e variazioni ampie ed erratiche dei tassi di cambio, riuscendo allo stesso tempo a mantenere a livelli adeguati la spesa sociale. Una questione importante è quindi riuscire a capire se e in che misura durante l’attuale crisi globale l’effettiva politica creditizia del Fondo sia stata guidata da questi nuovi obiettivi “non-statutari”.
La politica creditizia del Fondo durante la crisi
Con il rinnovato peso politico del FMI sulla scena internazionale hanno ripreso vigore le critiche di favoritismo rivolte alle politiche di prestito del Fondo. Queste sarebbero disegnate e messe in atto per tutelare gli interessi politici ed economici dei suoi principali azionisti (gli Stati Uniti e gli altri paesi del G7, che controllano le decisioni dell’Executive Board del Fondo) e dei paesi loro alleati, determinando un’inefficiente allocazione sia delle risorse del Fondo sia di quelle dei governi nazionali.
A questo proposito, il recente caso dell’intervento del Fondo in Islanda ha sollevato più di una critica a causa del coinvolgimento della Gran Bretagna, dell’Olanda e dei paesi del Nord Europa nella disputa IceSave, legata al congelamento dei depositi di oltre 400.000 correntisti inglesi e olandesi che non potevano accedere ai loro risparmi, amministrati da Landsbanski, una delle tre principali banche islandesi nazionalizzate nell’ottobre 2008. In seguito al collasso di Icesave, il Regno Unito e i Paesi Bassi dovettero rimborsare i propri cittadini, per poi chiedere all’Islanda di saldare il conto. Sebbene l’accordo IceSave non sia entrato far parte in maniera esplicita del pacchetto di condizioni (conditionalities) disegnato dal Fondo, autorevoli osservatori hanno evidenziato come il governo britannico e quello olandese abbiano utilizzato questa leva per ottenere delle condizioni più restrittive riguardo al rimborso per l’affaire IceSave (si veda, ad esempio, quanto riportato dall’Economist). Allo stesso modo, considerazioni di natura politica e interessi strategici sono entrati chiaramente in gioco nel pacchetto di aiuti del Fondo all’Ucraina per 15 miliardi di dollari che secondo molti altro non era che “un premio degli Stati Uniti all’Ucraina per aver ampliato la sua offerta di uranio arricchito” (The Economist).
Una vasta letteratura scientifica nel campo delle scienze politiche ed economiche ha fornito convincenti e solidi argomenti a queste preoccupazioni. Da un’analisi rigorosa dei fattori che spiegano la sottoscrizione e l’ammontare dei programmi di prestito del Fondo, emerge è che gli Stati Uniti e gli altri paesi del G7 che hanno esercitato un ruolo rilevante, influenzando le decisioni del Fondo in maniera tale da tutelare i propri interessi politici e economici nei paesi membri.
La risposta del Fondo alla crisi globale
In un recente saggio, siamo ritornati sull’ipotesi dell’influenza politica dei grandi azionisti sulle scelte del Fondo e l’abbiamo confrontata con quella del nuovo ruolo di prevenzione delle crisi che il Fondo avrebbe assunto negli ultimi anni. In particolare, abbiamo analizzato i programmi di prestito sottoscritti dal Fondo con i paesi a basso e medio reddito durante la crisi, da gennaio 2008 a giugno 2010, affrontando due principali questioni: (1) se i prestiti erogati dal Fondo durante la crisi globale siano stati indirizzati a impedire il suo diffondersi e a limitare i rischi di contagio; (2) se la partecipazione ai programmi del Fondo sia stata influenzata dagli interessi politico-economici dei paesi del G7.
I risultati dell’analisi riguardo alla probabilità che un paese membro abbia sottoscritto un programma di prestito col Fondo e alla dimensione del prestito concesso mostrano che:
- Gli interessi politici ed economici dei grandi azionisti del Fondo hanno giocato un ruolo decisivo anche nella crisi globale. L’amicizia politica del paese membro con i paesi del G7 è positivamente e significativamente correlata con la probabilità di ottenere un prestito, mentre l’esposizione delle banche straniere e gli investimenti diretti esteri dei paesi del G7 in un paese in via di sviluppo aumentano in maniera significativa la dimensione del prestito che questi in media riescono a ottenere dal Fondo.
- Il FMI ha di fatto svolto un’attività di prevenzione della crisi. I paesi che hanno subito in maniera inattesa e più forte la crisi hanno ottenuto, in media, prestiti di maggiore dimensione; ciò è vero soprattutto per i paesi più grandi, per i quali le conseguenze di un possibile contagio sono più gravi.
Inoltre, dalla nostra analisi è emerso che alla natura eccezionale della crisi attuale si è associato un effettivo mutamento nella politica creditizia del Fondo, visto che è solo in quest’ultimo biennio che il Fondo ha attribuito un peso nelle sue scelte di prestito alla gravità delle previsioni di rallentamento dell’economia dei paesi membri al fine di prevenire il diffondersi della crisi, mentre in passato questa grandezza non ha influito sulle sue scelte di intervento.
Un cambiamento strutturale nella politica creditizia del Fondo?
Nell’insieme, i nostri risultati evidenziano alcune novità nella politica creditizia del Fondo, anche se non smentiscono le accuse di favoritismo per i grandi azionisti. Da un lato, l’evidenza sui programmi di prestito successivi al 2007 mostra che la tradizionale ipotesi dell’influenza degli interessi politico-economici dei paesi del G7 sulle scelte del Fondo è ancora ben fondata. Dall’altro lato, i criteri seguiti dal Fondo nell’allocazione dei prestiti sono in linea con l’andamento delle tradizionali variabili macroeconomiche dei paesi membri che, a norma di statuto, dovrebbero guidarne le scelte e, aspetto ancor più degno di nota, il Fondo ha almeno in parte svolto il ruolo di prevenzione della crisi facendo affluire le risorse finanziarie ai paesi che hanno sperimentato un peggioramento consistente delle previsioni di crescita di medio periodo. Se questo rinnovato peso dell’economia sulle scelte del Fondo sia una risposta eccezionale a una crisi eccezionale, ovvero il segnale di un cambiamento duraturo nella sua strategia di intervento resta un problema aperto.
Alberto Zazzaro, Università Politecnica delle Marche e MoFiR
Andrea F. Presbitero, Università Politecnica delle Marche e MoFiR
Una versione estesa in lingua inglese è apparsa su VoxEU.org.