(triste) REALTÀ
Ebbene sì, anch’io ho fatto un Master. Lo devo ammettere, ci sono cascato e ci avevo anche creduto. Tanto da lasciare un posto fisso nell’editoria – e quando mi ricapita. Infatti, da che me ne sono andato dalla Ghisetti & Corvi perché “selezionato” fra i “ripescati” del “prestigioso” Master in Scrittura e Produzione per la Fiction e il Cinema della Cattolica di Milano non ho ottenuto mai più di un contratto “apro-getto”.
Immaginatevi quando uno dei vecchi professori del mio master, ora sceneggiatore, si mette a scrivere un romanzo in cui confessa indirettamente la verità: il Master era fatto sostanzialmente per far soldi…. (e per dare lavoro a questi 5 o 6 raccomandati che erano già stati raccomandati prima ancora che il master avesse inizio, aggiungo io.)
Luca Manzi, Il destino è un tassista abusivo, Rizzoli, Milano 2012.
Il romanzo è Il destino è un tassista abusivo, di Luca Manzi. Dico subito che il libro non mi è piaciuto e non sono riuscito a finirlo. È il classico libro ammiccante con un protagonista sfigato e passivo, che subisce gli eventi ma sembra simpatico, soprattutto per la parlata caciaronesca, il romanaccio, e certe espressioni fatte apposta per sembrare profonde e letterarie, mentre non vogliono dire niente.
A partire dal titolo. Nel libro infatti si afferma:
Il destino quasi sempre si presenta come un tassista abusivo alla stazione: mimetizzato con l’ambiente circostante. E tu non ti accorgi, non sospetti mentre ti punta e ti avvicina. Dal tassista poi ti puoi svincolare, magari con imbarazzo, ma puoi. Al destino invece non gli puoi dire “no grazie, guardi prendo la metropolitana”, quello ti prende e ti porta via.
Quindi: dal tassista abusivo puoi svincolare, dal destino NO. Quindi il destino NON è un tassista abusivo. È proprio il contrario. E di espressioni simili alla “il futuro è una terra straniera” di cui è bello riempirsi la bocca, ma che poi è solo chewing gum che ti rimane attaccato fra i denti, ve ne sono molte. Scritto bene e tutto, ma vuoto.
Ma veniamo al brano incriminato, che ritengo questo sì che tutti debbano leggerlo, per starsene poi alla larga dai Master universitari italiani, salvo rare eccezioni.
[Il professor Abernati è] salernitano, sui quarantacinque, sposato, religioso, lampadato ma soprattutto dotato di un’ampia calvizie al centro della testa. […] Da studente lo vedevo cazzeggiare benevolo tra un istituto e l’altro, tra un caffè e una passeggiatina tra i chiostri. Dopo una laurea al terzo fuori corso in Estetica infilò con incredibile agilità la trafila dottorato-ricercatore-associato, quindi dal nulla si inventò il suddetto master in Eventi multimediali, del tutto alieno ai suoi interessi scientifici. Provai a farmi spiegare perché un master: «Col master si guadagna, caro, che mi frega se non è prestigioso come una cattedra. I master si riempiono facilmente di gente che vuole fare un master. Hai notato quanta gente c’è in giro che vuole fare un master?».
Provai quindi a farmi dire che cos’è un evento multimediale. «Domanda inutile. Da una persona colta come te non me l’aspettavo. Un po’ mi deludi. Ma che ti importa che cos’è. È qualunque cosa. È tutto. Perché perdere tempo a definire un termine costituito da “molto” e “attraverso”? Per cortesia, dai… ciascuno ci mette dentro quello che vuole, capisci? Cosa vuoi che sia per te? Ecco! È quello! Per me è soldi, per esempio. La multimedialità è il concetto più democratico che esista.»
Gli chiesi infine perché voleva che insegnassi al suo master, e che cosa voleva che insegnassi. Abernati annuiva mentre mi ascoltava; annuisce sempre quando qualcuno gli parla, come a incoraggiarlo a esporre il suo pensiero; quindi ribatté serafico: «Risulti bene, sei quel goffo secchioncello che vende. Vedi… tu sei preparato, ma soprattutto sembri preparato, c’hai quest’aria da uno che sa le cose; uno ti guarda e pensa quello è serio, quello sa. Insegna quello che ti pare, basta che mantieni quell’espressione, una supercazzola qualunque dei new media crossmediali vettoriali della società liquida sa Iddio cosa».
«Ma… io studio l’arte medievale» risposi esterrefatto.
«Perfetto. New media crossmediali vettoriali della società liquida nell’arte medievale. Pensa che quel deficiente di Gambanelli dice che fa delle lezioni su “interazione uomo macchina”. Io gli ho detto, va bene tutto basta che mi spieghi che cos’è.»
Certo si tratta di esperienze personali, molto probabilmente ad altri è andata meglio, e quindi…
BUONA LETTURA! (si fa per dire…)