Partenza, L’Aquila, destinazione San Felice sul Panaro. La prima impressione nettissima è che i due terremoti non sono paragonabili. Il terremoto aquilano non è quello emiliano.
Una gestione dell’emergenza completamente diversa. Qui non c’è il Dipartimento di Protezione Civile, non c’è Bertolaso e la Protezione Civile di Gabrielli non ha gli stessi poteri che aveva al tempo del sisma aquilano. L’unica cosa che vagamente ricorda quel modello di gestione è la Di.Coma.C. (Direzione di comando e controllo), istituita con il Decreto n. 3, ma si trova lontano, a Bologna. Qui l’organizzazione è in mano agli enti locali: Errani, il presidente della Regione, è stato nominato Commissario per l’emergenza e tutti i sindaci del cratere sono stati nominati vicecommissari. Gli strumenti operativi sono i C.o.c. (Comitati operativi comunali) e il C.c.s. (Centro coordinamento dei soccorsi) presso le Prefetture.
Al 25 di giugno sono 12.651 le persone assistite dal Sistema nazionale di Protezione Civile tra Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto; effettuate al 20 giugno quasi 14mila valutazioni di agibilità e oltre 47mila verifiche alle strutture.
Sono tutti lì i centri maggiormente colpiti, San Felice, Finale Emilia, Medolla, Mirandola, Camposanto, Cavezzo. Tutte “zone rosse” accomunate dallo stesso destino. La popolazione vive con la paura di nuove scosse devastanti. Paesi interi dormono nelle tendopoli o in macchina.
La ricerca della normalità appare lontana anche se il fatto che l’emergenza sia in mano agli amministratori locali rende meno drammatica la percezione del futuro. E anche per questo il terremoto aquilano non è quello emiliano.
A San Felice sul Panaro, 11mila abitanti, ci sono 5 campi più due nelle frazioni. Ospitano mediamente 1600 persone anche se gli assistiti che si rivolgono ai campi per la ristorazione sono molti di più. Il Campo Scuola Materna/Elementare è il più piccolo, ospita 133 anziani con le loro badanti ma offre assistenza a 600 persone al giorno. Sono 1200 i pasti anche per persone che hanno deciso di abitare in tendopoli sorte spontanee, nei parchi, nei giardini di casa, di fronte alle abitazioni. Anche in questo il terremoto emiliano è diverso. Poi c’è il Campo Trento dove la maggioranza sono extracomunitari, musulmani, gente di confino, un campo con tanti problemi legati alla sicurezza.
A Cavezzo, a pochi chilometri, c’è il Campo Abruzzo, 300 ospiti, 1000 pasti al giorno, 100 musulmani, anche un Campo animali, gestito dalla Protezione Civile della regionale. Qui incontriamo il Sindaco, Stefano Draghetti. «La situazione è drammatica, abbiamo tutti gli abitanti, 7mila 300 persone assistite. Con le scosse che non si fermano la gente è terrorizzata e rischiamo l’evacuazione del paese. Con il susseguirsi delle scosse, i ritardi nelle verifiche di agibilità hanno determinato anche la chiusura di numerose fabbriche del settore biomedicale, il più importante distretto europeo, di quello della ceramica e delle fabbriche dove vengono costruiti i motori che hanno fatto la storia dell’automobile. La cosa peggiore? La burocrazia che rallenta tutto e che andrebbe snellita». Stesse parole pronunciate dal Commissario Vasco Errani che chiede di «semplificare le procedure, velocizzare le sistemazioni in case sfitte e moduli».
Alfredo, ex vigile urbano in pensione, gestisce dal 21 maggio, 2000 mq di magazzino centralizzato a San Felice, nell’ex fabbrica Del Monte, in liquidazione. Prestano la loro opera di volontari dalle 25 alle 50 persone al giorno, coadiuvate dalla protezione Civile locale e da qui passano i rifornimenti tutti i giorni per circa 1300 persone residenti. «Le attività produttive sono il vero problema per noi terremotati. Le fabbriche distrutte, il lavoro che non c’è, il comparto biomedicale che è in sofferenza. Sono gli stessi operai che vogliono andare a lavorare anche se i capannoni non sono agibili – ci dice Alfredo».
E la sicurezza? «Per noi viene dopo. Io stesso vado tutti i giorni alla stalla per accudire i miei animali. Rischio la mia pelle ma non posso abbandonare il mio lavoro». E anche in questo il terremoto emiliano è diverso.
L’altro giorno ha riaperto una parte del centro storico di Mirandola, grazie al lavoro dei vigili del fuoco, ai pedoni e ai proprietari degli edifici delle zone interessate. Un segnale importante di fiducia per gli abitanti. La domanda ricorrente «come si fa a venirne fuori? Con la crisi economica, dopo il terremoto aquilano, l’alluvione. Senza aiuti per ripartire con il lavoro come faremo?».
Non ci sono soluzioni precostituite ma risponde un anziano «da qui viene la maggiore percentuale del Pil del paese, non conviene a nessuno abbandonarci. Noi siamo un problema nazionale».
E anche in questo il terremoto emiliano è diverso.