di Paolo Bardelli
LA TRAMA
Anno 1989: un popolo dà vita ad una rivoluzione talmente pacifica e delicata da essere definita “di velluto”. Anno 2011: un popolo si sveglia senza futuro, si incazza e attacca (giustamente) a spaccare tutto. Di stoffe raffinate nemmeno l’ombra. Di merda tanta. I primi, i cechi, hanno rifilato la spallatina ad un comunismo ormai agonizzate, i greci sono ancora immersi in una crisi economica che invece sembra godere di ottima salute. Di vocazione internazionale i due “problemi”, peculiare invece la reazione. Ciò che certamente accomuna queste due nazioni è un certo passatismo. La gloria calcistica, per entrambe, è legata agli Europei. Quasi re Nedved & co. nel 1996, vincitori a sorpresa gli ellenici nel 2004. Tanto legati a quell’ultima gioia nazionale, i biancoblù non si vergognano di andare in giro con la scritta “Euro 2004 Champions” dentro al colletto (vedere per credere: http://cheapfootballshirt.me.uk/images/thumbnails/18/280/280/3076_12-14_Greece_home_(7).jpg ). Patetico, ma sempre meglio del “Deutschland über alles” previsto dalla maglia 2013.
I greci vivono in un eterno passato (come biasimarli con un presente simile?), lo fanno quando comperano barattoli di pelati etichettati con l’alfabeto dei padri, figurarsi se non lo fanno in campo. L’idea è chiara: piazzarsi come i 300 spartani dinanzi alla porta per poi colpire l’invasore di rimessa. La Repubblica Ceca vuole i tre punti, Karagounis indossa i panni di Leonida e urla “venite a prenderli”. “Ok” replica il nemico e ne schiaffa dentro due in cinque minuti. Partita inesistente, si gioca a una sola porta. Le emozioni sono tutte mie quando sento i nomi di Baros e Katsouranis, tanto che mi convinco anche io che sia il 2004 e, poco prima di pensare con rabbia a “Dragostea Din Tei”, sento il telecronista dire “…ci sono uomini liberi”. Musica per i greci, altro che sirtaki, via lo scudo e inizia l’assedio. Arriva anche il gol, la Banca Centrale Europea però annulla e per ripicca si prende il Partenone. Tregua, si va al riposo, ma la battaglia non è ancora finita.
Di nuovo in campo e Holebas rifila una ginocchiata nelle palle ad uno che passava di lì per caso, giusto per far capire che aria tira. Botte da orbi, i greci giocano alla morte e tutto questo slancio commuove Cech che decide di donare un gol ad una nazione tanto disgraziata. Gekas segna perché rifiutare un regalo è maleducazione, parte il grido “Hellas! Hellas” dalle tribune di uno stadio che, dicono gli squisiti commentatori, avrebbe la forma di una lanterna cinese. Molto carino ricordarci lo spauracchio dell’economia occidentale, perché se Atene piange neppure i cechi se la passano così bene. Volete sapere come stanno affrontando la crisi i giovani disoccupati di quelle parti? Buttandosi sul porno gay. Si inizia con il velluto e poi…
La Repubblica Ceca si abbassa e contiene, i greci continuano a spingere (chiedo scusa) ma il risultato resta inchiodato su un 2-1 che lascia l’impresa a metà. Tre punti ai cechi, la storia la fanno i vincitori si sa, ma l’onore è salvo. Undici greci valorosi sono caduti da uomini liberi, ricordatevi di loro.
La scena madre
Napolitano che, da Varsavia, chiede un vertice salva-euro. Holebas intende ringraziarlo personalmente.
Man of the match
Rosický che gioca una gara intera senza farsi male.
RSVP
The Beatles-“Revolution 9” perché la rivoluzione non è una scienza esatta e ognuno la fa come gli pare.