Mentre guardavo in tv Kung Fu Panda 2 mi si è accesa una lampadina.
Anche Po, il simpaticissimo cicciopanda protagonista del film, è un orfano! Dico anche perché, in questi giorni, sto guardando un sacco di cartoni animati anni 80 insieme ai miei bambini, per preparami a collaborare con lo stupendo blog Squid di Luca Maragno (sempre che non ci ripensi dopo aver letto questo post…speriamo di no…), direttore di Best Movie, con cui speriamo anche di fare presto un programma su Easybaby.
Dicevo, ultimamente cartoni su cartoni, e faccio caso al fatto che, insomma, ma sono tutti orfani questi personaggi giapponesi?
In realtà è una cosa che mi aveva fatto notare la mia mamma quando avevo circa dieci anni, me ne sono ricordata poco fa.
La memoria, che strana… ero seduta sul divano, mi guarda e mi dice. “Ma la mamma di questa bambina (era Candy Candy) dov’è?”.
E io, senza battere ciglio: “Ma dai, la mamma è morta, no?!”.
Mi ricordo perfettamente che per me all’epoca era stata un’affermazione ovvia, scontata, le mamme non c’erano mai, era un dato di fatto. Mi ricordo però anche la faccia di sale con cui la mia di mamma si era ritirata in cucina, ora la capisco, povera, se uno dei miei figli mi dicesse così mi sgretolerei anche io.
Luca Maragno all’inizio del suo blog parla di fattore Artax, il fattore drammatico, oramai quasi sempre assente nei prodotti di intrattenimento per bambini, che invece è proprio una delle caratteristiche fondamentali delle favole di una volta, il cui scopo era soprattutto quello di preparare i piccoli alla vita, esorcizzando le loro paure più grandi.
Luca dice: “Il problema è che la fiction, in tutte le sue forme, pensiamo anche alle fiabe tramandate oralmente, è metafora della vita reale. In qualche modo prepara in modo soft, attraverso il racconto, il bambino (e anche l’adulto) ad affrontare poi le esperienze reali. E la realtà non è (solo) una commedia.
Con questo non voglio certo dire che desidero che mio figlio pianga quando vede i cartoni animati. Credo, però, che nella scelta dei film da proporgli sia meglio indirizzarsi verso quelle storie che offrono una gamma variopinta di emozioni: paura, tensione, anche dolore, oltre che a simpatia ed esaltazione. […]D’altronde il dramma fa parte dell’Uomo e per questo motivo l’Uomo ha voglia di raccontarlo e di farselo raccontare”.
Partendo da Luca e Artax, (ex cavallo di Atreiu ne La Storia Infinita di Micheal Ende) e dai miei ricordi su Candy Candy, orfana alla casa di Pony, ho fatto una breve ricerchina on line in merito alla storia dei personaggi senza genitori nei cartoni della nostra infanzia.
Questa storia mi tormentava, perché tutte queste mamme passate a miglior vita? Era proprio necessario?
Mi sento chiamata in causa, devo sapere.
Ho cercato e ovviamente mi si è aperto un mondo.
Chiedo scusa in anticipo agli esperti di manga, ai nerd, ai malati di fumetti, ai letterati, agli storici…e a mio marito se quello che dirò violerà le sacre tavole della conoscenza dei cartoni giapponesi.
In caso, correggetemi, vi prego. Cercherò di spiegarvi cosa ho scoperto semplicemente raccogliendo le testimonianze raccolte sul web.
Intanto di quali cartoni stiamo parlando? Ve li ricordate? Eccone qui alcuni:
Jhonny è quasi magia
Candy Candy
Georgie
Anna dai capelli rossi
Belle e Sebastien: sua mamma non è morta ma comuqnue non la trova
La mamma di Pollon non si vede mai (dove è la sua mamma?)
Charlotte
Heidi
kiss me Lycia
Sara Lovely Sara
Milly un giorno dopo l’altro
Pollyanna
Tanti eh? Tutti senza mamma e a volte anche senza papà.
Forse mentre leggevate ve ne saranno venuti in mente altri.
Comunque a quanto pare la fissazione per gli orfani è stata narrativamente diffusa anche da noi, oltre e prima di Dickens, ma i giapponesi, sempre che quello che ho scoperto sia vero, hanno fatto questa “moda letteraria” particolarmente loro.
Per scoprirne le ragioni bisogna andare indietro nel tempo fino ad arrivare alla sconfitta drammatica subita dal Giappone alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Nel primo Dopo Guerra succedeva molto di frequente che le famiglie fossero già decimate o che comunque i genitori dovessero stare lontani da casa tutto il giorno per lavorare duramente quindi la scelta di storie occidentali imperniate sul trend dickensiano era motivata da una sorta di simpatia e di bisogno di elaborazione-sublimazione della propria storia di “senza famiglia”.
Ok, va bene, non avevo capito niente. In cuor mio li avevo perfino giudicati duramente.
Se le cose stanno davvero così devo ammettere che questa strage di mamme disegnate non ha traumatizzato nessuno, ha invece rasserenato migliaia di bambini, giapponesi e non.
Aiuto, vi faccio un altro esempio in cui la morale è fin troppo ovvia: la mamma di Biancaneve deve schiattare perché lei possa arrivare a conoscere il Principe Azzurro = la mamma si deve sempre sacrificare per il bene supremo e soprattutto se vuole sperare di vedere sua figlia all’altare…va beh, vado in cucina a mettermi al collo una corona d’aglio e a prendere un bel corno.
Cristina D’Avena, parlo con te, sappi che comunque vada se non ci fossi stata tu non sarebbe stata la stessa cosa, grazie.