Sto per fare un discorso molto impopolare, ma lo faccio lo stesso.
Prima di tutto preciso che parlo con cognizione di causa: come educatore scout dell’Agesci faccio parte della protezione civile, e ho contribuito ai soccorsi nei giorni successivi al sima in Abruzzo del 2009 (ho raccontato l’esperienza qui). Quindi ho visto come si gestisce un’emergenza, com’è strutturata l’organizzazione e come vengono coinvolti i volontari.
Una cosa che mi sento di dire in questi giorni post-terremoto è che non c’è niente di più deleterio delle persone animate da buone intenzioni. Può sembrare brutale, ma non avete idea dei problemi che creano individui del tutto impreparati che si presentano in un luogo devastato da una calamità, pur se spinti da nobili sentimenti.
Il punto centrale è che in situazioni del genere l’organizzazione è tutto: il fatto che i punti di riferimento abituali di una comunità siano messi in discussione (a causa di distruzione di edifici, inagibilità delle strade, autorità non in grado di curarsi di tutti (almeno subito), incertezza sulle sorti dei familiari) crea un caos e una percezione di insicurezza diffusa che si autoalimentano, rischiando di degenerare in situazioni da “terra di nessuno”.
Per fortuna viviamo nel 2012 e gli Stati si sono attrezzati per far fronte a queste situazioni, formando e stipendiando personale specializzato che sappia come comportarsi per ristabilire una parvenza d’ordine. Ed è questo tentativo di rimettere in piedi una parvenza di normalità la sfida più difficile per la protezione civile, l’esercito e le altre autorità preposte (ovviamente escludendo la mera assistenza medica ai feriti e la ricerca dei dispersi, che sono le urgenze del brevissimo termine e che dò per scontate).
In tutto questo non c’è spazio per le schegge impazzite e i buoni samaritani improvvisati. O meglio, c’è spazio per le persone che vogliono mettersi a disposizione, ma solo in modo organizzato cioè sotto la guida e il controllo di autorità che sanno come indirizzarne le energie (e anche le donazioni materiali).
Mi vengono in mente almeno 3 esempi in cui questi principi, forse non così scontati, vengono disattesi:
1. L’invio casuale di beni di primo consumo, equipaggiamenti e materiali vari. Mandare roba a caso, raccolta a caso fra amici e conoscenti in base all’ispirazione personale, è inutile quando non deleterio. Faccio un esempio semplice preso dalla mia esperienza. Nel campo in Abruzzo dove ero presente (nel piccolo paesino di Piànola) ricevevamo ogni giorni quintali e quintali di roba, della più disparata foggia. Io sono partito 3 giorni dopo il sisma e già c’erano container pieni di qualunque cosa. Il problema è che l’80% di queste cose erano completamente inutili. L’esempio più calzante riguarda le uova di cioccolato. Due interi container erano dedicati solo alle uova, saranno state migliaia. In effetti era normale, era il periodo di Pasqua. Solo che era impossibile anche solo pensare di mangiarne la metà, nonostante il migliaio di persone nel campo. L’unico risultato di quelle uova è stato un proliferare di mal di pancia, mal di denti (e immagino glicemie alle stelle) dei bambini del campo, che (furbi loro) le chiedevano ai volontari che gliele davano con tanto amore (pirla loro), oppure le trafugavano di nascosto. Stessa cosa per i giocattoli, migliaia di giocattoli mandati per permettere ai bambini di svagarsi, ma in un numero così spropositato che i bambini ne prendevano a dozzine e poi li buttavano nei fossi dopo mezz’ora (tanto ce n’erano un sacco). All’opposto di questa surreale abbondanza, mancavano alcuni generi di prima necessità, ad esempio prodotti per l’igiene personale (bagnoschiuma, shampoo, dentifricio, asciugamani, saponette, ecc.). Avevamo grossi problemi a far bastare tutto per gli ospiti del campo, e in molti giorni abbiamo dovuto stare attenti a cosa distribuivamo, quasi razionando (si noti che in Abruzzo la situazione era più tragica di quella attuale in Emilia, esercizi commerciali aperti ce n’erano pochissimi e spostamenti e consegne erano problematiche, almeno nei primi giorni).
Questo per far capire che è sempre meglio informarsi presso la protezione civile per sapere cosa può essere utile, oppure, ancora meglio, donare soldi che possono essere utilizzati secondo le necessità (ovviamente attraverso canali sicuri e istituzionali, così da non incorrere in frodi).
2. Le catene che passano per i social network con richieste varie. Qualcuno pensa veramente che un ospedale o un centro AVIS si metta a scrivere via facebook e twitter messaggi del tipo “presto, è urgente, c’è bisogno di sangue A+ nel paese di Pinco in provincia di Pallo, ci sono molti feriti bisognosi di trasfusioni. PRESTO DIFFONDETE!!!”?? Vi sembra il modo in cui dei medici procederebbero? A parte le riserve di sangue e plasma stoccate per situazioni di emergenza, ci sono canali interni attraverso i quali le ASL (o la protezione civile) si mettono in contatto e si chiedono a vicenda aiuto in caso manchino di qualcosa di specifico. Idem per richieste di tende, che vi assicuro la protezione civile possiede a migliaia, e nel caso non siano abbastanza sanno già a chi chiedere (prima di tutto ai gruppi scout, che messi insieme probabilmente ne hanno decine di migliaia. Per richieste di alimenti vale quello detto al punto 1.
3. Persone che si presentano spontaneamente in loco senza indicazioni. Questa è la cosa più problematica, e quasi sempre deleteria e pericolosa. C’è da dire che la problematicità è proporzionata alla gravità dell’evento: più è catastrofico più questi aiuti casuali fanno danni. Non so di preciso come sia la situazione in Emilia, ma in Abruzzo ricordo che chi veniva trovato “imboscato” con i soccorritori senza autorizzazioni (in certi casi anche veri e propri sciacalli) veniva allontanato in malo modo (se andava bene) o addirittura denunciato e multato pesantemente per i problemi creati ai soccorsi e per i rischi a cui si sottoponeva egli stesso. Può sembrare brutale ma è davvero l’unico modo per stroncare sul nascere i problemi derivanti da masse di benintenzionati che non sanno quello che fanno. E’ vero che in Abruzzo la situazione era molto tragica, e c’erano grosse difficoltà anche a tenere le comunicazioni fra i vari luoghi nonché a spostarsi da un paese all’altro. Probabilmente in Emilia non siamo a questi livelli, e in molti luoghi la situazione è del tutto sotto controllo (ma non credo nei centri più colpiti). Ma questo non è sufficiente a giustificare azioni impreparate.
Inoltre, fatemi aggiungere che nascono legittimi dubbi sulla gratuità del gesto quando si vedono su facebook foto di gruppi di amici e famiglie abbracciate e sorridenti di fronte alle macerie, con sullo sfondo il furgoncino con il baule aperto da cui si intravedono preziosi pacchi di pasta e misericordiose casse d’acqua. Foto che ho visto in quantità sui social network (ma che evito di mostrare per evitare problemi). L’ostentazione non è mai bella, lo è ancora meno nelle tragedie. Il servizio al prossimo lo si vede nella vita di tutti i giorni, e una foto eroica non serve a bilanciare altri 364 giorni passati a ignorare i bisogni altrui.
Ma quindi, tutte queste persone che vogliono aiutare non sono altro che problemi? L’altruismo e la compassione non sono più valori?
No, non ho detto questo. Il modo per aiutare, ed essere sicuri di farlo in modo davvero utile, c’è, ed è farlo sotto alla guida e previa autorizzazione delle autorità. Che significa in sostanza presentarsi al centro più vicino della Protezione Civile (o anche dalle forze dell’ordine, o in Comune) per mettersi a disposizione e chiedere se c’è necessità di volontari, o di inviare materiali. Comunemente viene concesso di unirsi ai soccorsi prima di tutto a chi fa parte di un’associazione di volontariato di protezione civile, e solo successivamente, e previa valutazione dell’idoneità fisica e psicologica dell’individuo, ai volontari singoli, slegati da strutture affiliate.
In realtà queste sono cose che dovrebbero essere note (le ripetono spesso sia i giornali sia le istituzioni), ma un po’ di cose che ho visto in questi giorni mi hanno convinto a rimarcarle.
Quindi, se volete darvi da fare per sincera empatia con chi sta affrontando un momento molto difficile, fatelo chiedendovi sempre se le vostre azioni saranno davvero d’aiuto, o se piuttosto l’impulso altruista non rischi di fare danni alle stesse persone che si vogliono aiutare, per gratificare, in fondo, nient’altro che il proprio ego.