Quando sono entrata nel cortile dove si sarebbe tenuta la recita di fine anno e li ho visti tutti in fila, vestiti da pinguini, ho pensato a quanto generosa e infaticabile sia la volontà delle maestre della scuola pubblica italiana. Magari non sempre, magari non tutte, ma insomma, l’investimento che si fa su di loro non è proprio gratificante. Ero lì che concionavo mentalmente su una rivoluzionaria riforma della scuola materna, quando incrocio lo sguardo del mio piccolo cosacco, che mi vede e allarga le braccia come fa tutte le volte che lo vado a prendere a scuola, come a dire: “Mi prendi in braccio?”. Ma anche, vista la cornice: “Mi tiri fuori di qui?”. Gli ho risposto, a gesti, che no, questa volta doveva restare lì, e che tra l’altro aveva un bellissimo costume e tutto sarebbe andato alla grande.
Poi è partita la musica, e Vladi, insieme a tutti gli altri pinguini, ha cominciato a saltare e ballare a tempo: giù le mani, su le mani, salta, ruota la testa, gamba avanti, gamba indietro, passa sotto le gambe di quello davanti, capriola, ancora un salto, uno spettacolo. A ogni pausa si voltava per assicurarsi che fossi ancora lì, e io c’ero. Come tutti i pomeriggi di tutto l’anno, io c’ero sempre. Sin dall’inizio, quando chiamava mamma chiunque gli capitasse a tiro, e nei mesi successivi, quando si esprimeva con un unico paio di dittonghi, piangeva, mordeva, si piantava per le scale e non andava né su né giù. Adesso era lì, che si muoveva a tempo insieme agli altri bimbi-pinguino, dando prova di un insospettabile coordinamento motorio e anche di un certo senso del ritmo…
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