Ai suoi baffoni non voleva proprio rinunciare. Ci aveva messo così tanto a farli crescere e non voleva sapere di tagliarli. Amir Muhammed Afridi ha 42 anni e da quasi un ventennio ha impomatato, accarezzato, profumato i suoi lunghi baffi pakistani che si inarcano fino all’altezza della fronte. Tra gli abitanti del suo villaggio di Banna, 250 chilometri a nord di Islamabad, è diventato una star. Poi sono arrivati gli uomini di Lashkar-i-Islam, un gruppo di estremisti musulmani che lotta per imporre la shari’a. E che non tollera quei baffi che si innalzano troppo verso il cielo.
Negli ultimi due anni il baffuto pakistano è stato più volte minacciato di morte. E ha dovuto trasferirsi nella vicina Peshawar lasciando nel suo villaggio moglie e 10 figli. Ha preferito una vita da esiliato lontano dalla famiglia pur di non rinunciare al suo rituale mattutino preferito: una toeletta di mezz’ora per trattare i baffi con olio di mandorle e con una speciale cera di composizione ignota.
I baffi sono un forte simbolo identitario in Pakistan. Nella “terra dei puri” quasi tutti i politici li hanno – dal presidente della Repubblica Zardari al Primo Ministri Gilani. Tuttavia sono un bersaglio degli estremisti islamici che si rifanno a una lezione del Profeta Maometto: “spuntate con cura i vostri baffi ma fate crescere la vostra barba“. Il rischio è che la peluria haram possa intrappolare pezzetti di cibo. Troppo poco igienico per un buon musulmano. E dire che Amir si ispira proprio a una figura di riferimento dell’Islam, Omar Ibn al Khuttab, il secondo “califfo ben guidato” che si dice fosse solito portare i baffi. Se la sua devozione non dovesse convincere è da ricordare il cambio di look durante il mese di Ramadan: niente baffi verso il cielo ma raccolti dietro le orecchie. Sia mai che qualche devoto troppo zelante possa sentirsi infastidito.