Tutto iniziò per dell’insalata: il 6 aprile 1652 tre caravelle battenti bandiera olandese gettano l’ancora davanti alla Table Mountain nell’estremo Sud dell’Africa, in un luogo dove sorgerà Città del Capo. A bordo vi sono Jan Van Riebeeck, la moglie, il figlioletto di quattro mesi e i novanta migranti al suo seguito. I nuovi arrivati portano con sé sacchi pieni di sementi, tra cui quelle dell’insalata. La potente Compagnia olandese delle Indie orientali ha organizzato questa spedizione, affinché Van Riebeeck e i suoi compagni coltivino gli ortaggi per rifornire le navi lanciate nella corsa alle spezie, i cui equipaggi erano spesso decimati dallo scorbuto, dovuto alla carenze di vitamine. Una missione che il giovane dovrà compiere con la schiena rivolta al continente, evitando qualsiasi contatto con gli autoctoni, ma Van Riebeeck non sospetta che in realtà sta per scrivere il primo capitolo di un Paese che non esiste: il Sudafrica.
Lungo e tormentato è stato il percorso per l’abbattimento dell’apartheid (giustificato teologicamente dai suoi teorici), ossia la separazione tra bianchi e neri che, dal 1948 al 1994, ha negato un’esistenza dignitosa ad un intero popolo, privato dei più elementari diritti umani e civili, relegato a vivere in slums e costretto a sopportare una sorta di inferiorità psicologica capace di annientare anche la speranza.
La splendida storia che sto per raccontarvi inizia a Langa, in una township di Città del Capo, dove la disperazione regna sovrana nelle esistenze di duecentomila neri e meticci, un altro piccolo pezzo di inferno sulla splendida terra africana.
La bianca Helen Lieberman, trentadue anni, capelli rossi, occhi verdi, riuscirà, in una notte d’inverno, a riportare un po’ dignità in un non luogo fatto di tuguri, fogne a cielo aperto, paura e odio impresso nei cuori: viaggiando a fari spenti, con la complicità di un’inserviente nera che lavora nel suo stesso ospedale, non temerà di rischiare la vita per salvarne un’altra.
Helen è un’ortofonista, una specialista di educazione e rieducazione del linguaggio, una donna che dimostrerà il coraggio di una leonessa nel buio pesto di un Sudafrica diviso dall’odio razziale e martoriato da leggi spaventose che si ispirano a Hitler: il governo afrikaner ha inserito la separazione tra bianchi e neri come dogma della Costituzione. Ѐ un Paese che protegge i suoi meravigliosi animali selvatici nelle riserve, ma che stipa milioni di neri in ghetti. Un Paese che con il suo ricchissimo sottosuolo ha dato al re d’Inghilterra, Edoardo VIII, una pietra preziosa da cinquecentonovanta carati, ma che obbliga due bambini neri su tre ad andare a scuola a piedi nudi, semmai esista una scuola. Un Paese estremo in ogni senso, ricco di opportunità, ma avvelenato dalle ingiustizie esportate da un gruppo di bianchi che trova giustificazione all’orrore nei testi sacri. Ѐ inconcepibile che alcune centinaia di immigranti europei abbiano potuto decidere di far proprio un Paese all’altro capo del mondo, addirittura inesistente, e renderlo protagonista di una delle pagine più dolorose della storia umana.
Si reca a Langa per salvare Jeremy, un bambino prematuramente dimesso dall’ospedale di Groote Schuur, a Città del Capo e, di lì a poco, diventerà la mama di tutti i bambini della bidonville: Helen non se ne andrà più perché gli occhi soggiogati dalla paura, incontrati quella notte, la tratterranno per sempre lì, a Langa. Non può accettare l’idea di rimanere impassibile dinnanzi alla sofferenza che la politica razziale dell’apartheid ha generato, non può accettare passivamente un progetto di distruzione così aberrante: quest’esperienza cambierà la sua vita.
Saranno le donne della township, i pilastri della società africana, a chiederle di collaborare per fare qualcosa di utile per la gente del quartiere: quanto c’è da fare in un posto dimenticato da dio? Tubercolosi, dissenteria, alcolismo, malnutrizione e analfabetismo sono il pane quotidiano per i duecentomila abitanti di Langa. Helen propone un sondaggio e la priorità che emerge non è quella di sopperire a bisogni materiali, bensì di garantire il nutrimento dell’anima: i prigionieri di Langa vogliono una scuola per i loro figli, affinché imparino a leggere e scrivere. Tutti si rendono disponibili per realizzare quel progetto straordinario, una luce di speranza nelle tenebre dell’apartheid: Sam, il capo cantiere, ha vent’anni e coordina i lavori per alzare quattro mura dove dispensare un po’ di sapere a chi, fino ad allora, non ne ha avuto il diritto. I lavori procedono velocemente, grande è l’entusiasmo che si respira, obbligatoria una festa per celebrare un evento così rivoluzionario.
Ma Sam, il giovane uomo che frugava nell’immondizia per sopravvivere, il ragazzo muscoloso che aveva contribuito a tirar su una scuola per i bambini di Langa, verrà attaccato ad un palo e bruciato vivo: nessun giornale parlerà del suo assassinio e la polizia non indagherà sull’accaduto. L’odio è marchiato a fuoco nei cuori: estirparlo non sarà un’impresa facile, ma il Paese arcobaleno ce la farà a scrivere una nuova storia per sé e per il suo popolo. La scuola è intitolata a lui, si chiamerà Sam’s school, in ricordo di un ragazzo che non ha esitato, neppure per un momento, a dare il suo contributo per una nobile causa.
Helen è assillata da continui suggerimenti che palesano il desiderio di una vita migliore: prima di ogni sua spedizione a Langa, la donna bianca che sfida le leggi razziali, carica la sua macchina di beni di ogni genere, medicine e cibo, e si reca tra la sua gente a portare conforto e competenze mediche. Lo scaffale del commissariato di polizia è sommerso dai rapporti sull’attività eversiva della dottoressa Lieberman: lei è consapevole di aver messo a rischio la sua vita e quella della sua famiglia. Il 24 giugno 1989, decide di riunire le duecentocinquanta “mama” a capo dei progetti, in un cinema della township, per fare il punto della situazione su iniziative e problemi urgenti da affrontare e risolvere. Dopo alcune ore di scambio e confronto, le donne lasciano la sala con il cuore pieno di speranza, quando una deflagrazione spaventosa fa tremare metà abitato. Fortunatamente il timer ha funzionato con un ritardo di dieci minuti e tutte le partecipanti sono uscite illese dalla riunione. Helen, superato il grande spavento, capisce che è necessario ufficializzare l’esistenza di quell’associazione, dire al mondo intero che c’è un gruppo di donne di buona volontà che si oppone all’oppressione e all’assurda brutalità dell’apartheid.
La fondazione, battezzata con il nome di Ikamva Labantu-The Future of Our Nation, è oggi l’organizzazione umanitaria più importante del Sudafrica: i suoi programmi includono asili nido, scuole primarie, centri artistici e sportivi, centri di riabilitazione per non vedenti, ricoveri per indigenti, programmi di intervento rurale, centri di formazione e artigianato, dispensari per la cura dei malati di AIDS. In totale, più di un milione di persone ricevono annualmente l’aiuto dell’organizzazione fondata da Helen Lieberman.
La dottoressa Helen, insieme a tante altre donne e tanti altri uomini di buona volontà, ha contribuito, con lacrime e sangue, sudore e coraggio, a mettere fine al terribile regime che ha straziato e diviso un intero popolo: ha riportato la speranza e dimostrato quanto la collaborazione possa dare i suoi buoni frutti, gettando le fondamenta per un nuovo Sudafrica, oggi Nazione arcobaleno .
“Nessuno è nato schiavo, né signore, né per vivere in miseria, ma tutti siamo nati per essere fratelli” (Nelson Mandela)
8 Giugno 2012