Quando l’altra sera guardavo il piccolo Vladi seduto sul divano come un ometto, con l’iPad del papà sulle ginocchia che faceva scorrere il ditino per sfogliare vecchie fotografie e nominarne ogni volta i personaggi, ho fatto quasi fatica a ritrovare in lui quel bambino agitato, irrequieto, corrucciato e ostile dei primi giorni. Non che si sia trasformato nel piccolo Lord, intendiamoci. Anzi, nello specifico stiamo attraversando la fase delle pernacchie e non abbiamo ancora abbandonato la simpatica abitudine di lanciare gli oggetti quando qualcosa ci contraria. Ma insomma, comunque non ci sono paragoni.
La nostra preoccupazione più grande riguardava il linguaggio. Quando è arrivato aveva due anni e mezzo e non parlava neanche il russo. In istituto sostenevano che stava iniziando a parlare, ma onestamente a noi non sembrava: più che parole emetteva suoni, in maggioranza rochi e gutturali. Piangeva molto, e quando qualcosa lo emozionava – sia in bene che in male – mordeva. Ognuno di noi, sorelline comprese, ha un ricordo ancora inciso sulla pelle di quella fase ferina. Fu Sofia a trovare il sistema per farlo smettere. Stavamo giocando sul divano – all’inizio eravamo tutti molto bisognosi di fisicità – e a un certo punto Vladi…
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