L’unica che vuole (o deve) vederci positivo è Dilma Rousseff, la padrona di casa della Conferenza ONU sullo sviluppo sostenibile, il primo grande appuntamento mondiale a cui, mai come ora, il Brasile arriva impreparato. I lavori preparatori a New York si sono conclusi senza alcun accordo preventivo e le organizzazioni ambientali principali, sempre più pessimiste, hanno criticato l’approccio brasiliano di utilizzo dell’economia verde come compensazione della crisi economica globale ed in perfetto equilibrio con i grandi investimenti nel paese e nel mondo, giudicando incompatibili le due cose. La conferenza rischia di tramutarsi nella solita passerella di leader e nella definizione di un programma di obiettivi entro il 2030, assolutamente generico e tardivo. Il giudizio dei brasiliani è impietoso. Il 50% non ha alcuna speranza per risultati concreti nel summit, mentre solo il 16% pensa che questo vertice influirà sul comportamento dei governi. Dopo la figuraccia dell’approvazione del Codice Forestale che condonerebbe le sanzioni ai piccoli e medi produttori e coltivatori agricoli responsabili di disboscamento dell’Amazzonia e delle altre vaste zone forestali del paese, Dilma è corsa ai ripari, presentando al Congresso un emendamento correttivo per il testo definitivo (che costringerebbe gli autori di disboscamenti a provvedere al ripristino di almeno il 10% delle aree danneggiate) ed ai suoi ministri di cucirsi la bocca e di non alimentare contestazioni che già fanno scontrare ministero dell’ambiente e dell’agricoltura. Ma è la politica del gambero. Wen Jiabao garantendo profondi accordi ambientali con il Brasile che ha promosso il coinvolgimento di tutti gli altri partner del BRICS, ha incassato l’investimento cinese di 4.800 milioni di dollari in estrazioni petrolifere offshore nelle coste brasiliane. A poco serve dichiarare che in Brasile si è registrato la minore deforestazione in 23 anni, con l’8% in meno rispetto al 2010, perché la deforestazione avanza. Alla fine tutti si sono identificati nelle parole di Marina Silva, la ministra dell’ambiente di Lula, paladina dell’Amazzonia che gettò la spugna già molto tempo fa, che vede in Rio+20 “un’occasione di imbarazzo per governi titubanti di fronte ad una società sempre più sfiduciata e cosciente”, affermando che “il governo brasiliano è ostaggio di un sistema politico finanziatore e finanziato da oligarchie e gruppi economici che impediscono lo sviluppo sostenibile ed il ruolo del Brasile come guida socio-ambientale mondiale”.
12 Giugno 2012