Salvatore Carbone, operaio edile di 53 anni ed assessore comunale di Stornarella, è morto stamane in un cantiere edile alla provincia di Foggia, in viale degli Aviatori. I vigili del fuoco, alcune pattuglie della polizia di stato e gli uomini dello Spesal, il servizio di prevenzione infortuni sul lavoro, hanno riferito della caduta accidentale dell’uomo nel vano ascensore del cantiere.
Solo alcuni giorni fa, Pasquale La Rocca, caporeparto dell’Ilva di Novi Ligure di 31 anni, è morto mentre lavorava nell’impianto siderurgico. Una scomparsa resa ancor più tragica dalla reazione, il giorno seguente, dell’amministrazione della fabbrica: coperto l’operaio con un telo, gli operai sono stati costretti a proseguire l’attività, inducendo i sindacati a proclamare uno sciopero per i turni di notte. “Uno scandalo, una barbarie. La cosa più grave è stata che l’azienda non ha bloccato la produzione per continuare a caricare le lamiere sugli autotreni in attesa di partire. E nel frattempo il nostro compagno morto era lì per terra, coperto soltanto da un lenzuolo”, hanno dichiarato i sindacalisti.
Due scomparse, che vanno ad inserirsi in un quadro ben più complesso. Dove non è detto la morte sia immediata (basti pensare ai lavoratori ex Belleli, ammalati di di forme tumorali causate dalla costante esposizione all’amianto). Cifre che parlano, in maniera fin troppo diretta, della cronaca più brutale che il nostro paese si sia ultimamente trovato a subire. Oltre la crisi. Oltre l’assenza di contenuti. Oltre il precariato mentale che, sempre più, sta corrompendo il ragionamento delle nuove generazioni. Papabili nuove classe dirigenti di frasi impostate fra i se ed i ma, sedate dalla terapia palliativa del condizionale.
71 le morti sul lavoro rilevate a maggio dall’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro “Vega Engineering”. 208 gli infortuni mortali denunciati nei primi cinque mesi del 2012. Due numeri che mai erano stati associati, almeno in questi ultimi tre anni, alle vittime sul lavoro in un mese.
Il terremoto che ha colpito gli organi vitali della produzione italiana, ha trascinato l’Emilia Romagna al primo posto nella tragica graduatoria delle morti bianche. Più di due sono i decessi al giorno. E la Lombardia – che ha costantemente tenuto la prima posizione – occupa ora il secondo posto per numero di morti sul lavoro con 30 vittime; seguono: Toscana (24), Veneto (13), Piemonte e Sicilia (12), Trentino Alto Adige, Abruzzo e Lazio (10), Calabria e Campania (9), Marche (7), Liguria (6), Puglia e Friuli Venezia Giulia (5), Basilicata e Umbria (4), Sardegna (3), Molise (1) e nessuna vittima in Valle D’Aosta. Dietro ai numeri, le storie, i paesi d’origine. Molti, infatti, gli stranieri deceduti sul lavoro: il 13,8 % del totale. Tanti i giovani: le fasce d’età più coinvolte nel dramma sono quelle che vanno dai 45 ai 54 anni (49 vittime), quella dei 35 – 44enni (47 morti), degli ultrasessantacinquenni (42) e quella tra i 55 e i 64 anni (35).
Il lavoro e la definizione del percorso che porta ognuno di noi ad esso, attraverso la preparazione e l’esperienza, continuano ad essere il nostro punto d’Achille. Dove permane il meccanismo dell’abbattimento dei costi a discapito della sicurezza, dove sopravvive la mancanza d’informazione e l’omertà dei cittadini ognuno di noi è, semplicemente, complice.
Basti pensare a quel “piccolo” episodio venuto a galla fra i media, grazie al coraggio di pochi (e che quante altre volte, troppe, sarà avvenuto): un aut aut imposto da diverse aziende dell’Emilia Romagna ai propri dipendenti, nel giorno in cui il conteggio delle vittime per il sisma era salito a 26. Un fenomeno diffuso, quello denunciato dalla Cgil regionale, con il quale i datori di lavoro hanno cercato di tutelarsi in vista di nuove possibili scosse e delle conseguenze legali e penali. Una fra tante, ad esempio, la Forme Physique srl, ditta di abbigliamento con sede nel Modenese, rea d’aver fatto firmare una liberatoria a tutti coloro i quali avessero scelto di tornare a lavoro. La lettera recitava: “Ciascun dipendente che ritiene opportuno continuare a svolgere la propria attività libera la proprietà da qualsiasi responsabilità penale e civile”. Una liberatoria per le coscienze, insomma. Da pulire e rammendare alla prima occasione (non) utile.