Diciamolo. Se siete già capitati in questo “post” non siete, con ogni probabilità né “tardivi” né “tardoni” digitali. Già leggete un quotidiano online come LINKIESTA, mica paglia, e sapete pure cos’è un blog.
Ma, io lo so e lo sapete pure voi, fuori da questa schermata c’è un mondo, che per sua fortuna o sfortuna, ancora non “vive” sul Web.
C’è un mondo che non è su Facebook, oppure se c’è non ha ancora capito bene cos’è un profilo, un gruppo o una pagina. Ma intanto ha cliccato un bel “mi piace” sulla pagina sponsorizzata di una famosa crema alla nocciola spalmabile, aggiungendosi agli oltre quindici milioni di persone che lo hanno già fatto e agli oltre 69 mila che ne stanno parlando in questo momento.
Come c’è un mondo che “non capisce twitter*” e che mi chiede continuamente come imparare ad usarlo. Tanto che sto seriamente pensando di cambiare lavoro: da giornalista precaria non proprio di primo pelo a jeekissima esperta di web 2.0* e di information network…
C’è un mondo che diceva, prima, “l’ha detto la televisione” e ora dice “l’ho letto su internet”…
C’è un mondo di genitori, e qui so, per esperienza, di mettere il dito sulla piaga, che alla richiesta di PC in cameretta o dell’ultimo smarth phone da parte di figli decenni già tiranni, ma definitivi unanimemente “nativi digitali” non sa dire di no. Salvo poi trovarsi, nel migliore dei casi, bollette stratosferiche e, nei peggiori, la Polizia Postale che bussa alla porta. Niente allarmismi per carità. Mi perdonerete, spero, se unisco in un cocktail micidiale, la mia verve di osservatrice sull’uso dei media da parte dei minori, a quella di giornalista ( e un pochino a quella della madre ansiosa…)
Partiamo da qualche dato. Secondo l’ultima indagine di EuKids Online resa nota da Save the Children lo scorso 7 febbraio (in occasione del Safer Internet Day, giornata europea della sicurezza informatica) molti genitori, l’82% in Italia, percentuale più alta del 10% rispetto alla media europea, ritengono “altamente improbabile” che i propri figli possano imbattersi in situazioni spiacevoli.
Per contro, alcuni dati definiti “allarmanti” emergono dalla ricerca condotta direttamente da Save the Children: un ragazzo su 3 invia o riceve messaggi a sfondo sessuale, il 32% dei teen ager dà il suo numero di cellulare a qualcuno conosciuto online, il 27% si dà appuntamento di persona con qualcuno contattato in internet e il 17% ha rapporti intimi con persone contattate via web.
Perché vi dico questo? Per sfatare tanti cliché. E’ vero, i nativi digitali sono molto più veloci ed intuitivi di noi nell’uso delle nuove tecnologie, anche senza lavagne interattive (alzi la mano chi ne ha vista una nella scuola del proprio figlio). Provate a dare uno smart phone o un tablet ad un bambino e scoprirete, nel giro di qualche secondo, funzioni di questi apparecchi che neanche immaginavate. Ma, dall’altra parte, visto che nessuno glielo ha ancora insegnato, i nostri ragazzi non hanno ancora gli strumenti per orientarsi con sicurezza e competenza sui contenuti accessibili sul Web, che è, di fatto, il mondo. Esattamente come se fossero lasciati in mezzo ad una strada da soli nel cuore della notte.
E qui la domanda sorge spontanea… A cosa ci servono davvero Internet, i social network, i blog, l’informazione online ? Secondo il mio modesto parere, il Web risponde alla nostra innata esigenza e voglia di comunicare, conoscere. Siamo o no “animali sociali”? Grazie al Web è possibile condividere e già questo è meno scontato, soprattutto nel nostro Paese. E’ possibile informarsi, ricercare, confrontarsi.
Lo è anche per gli ultrasessantenni che con “Informatici senza frontiere” associazione di volontari che combatte il digital divide, vanno a scuola di informatica da Trento a Milano. Come per i bambini di Scampia, a Napoli, dove attraverso i computer si cerca di togliere una generazione dalla strada. Parlo di bambini tra i 6 e i 9 anni, che non avevano mai utilizzato un computer prima del corso.
Lo è, anche, per i ragazzi che stanno collaborando con un’altra giovane associazione “Icaro ce l’ha fatta” proprio per maturare quell’esperienza in una navigazione a vista sempre più “pericolosa”. Con l’intento di insegnare ai fratelli più piccoli i “trucchi” su come evitare le trappole e i tranelli che gli adulti costruiscono in rete.
Ecco, ripartiamo da qui e se vi va possiamo percorrere, insieme, un tratto di strada virtuale, grazie all’ospitalità de LINKIESTA, per conoscere da un lato diverso il web 2.0.
E dichiararci con orgoglio, “tardivi digitali”, ma solo per età anagrafica e sempre meno “tardoni”, per competenza.