L’ultima da Vatileaks è che in autunno, forse già ad ottobre, il cardinale Tarcisio Bertone lascerà il suo incarico di segretario di Stato vaticano ad un esponente dell’ala diplomatica della Santa Sede che da sempre, per tradizione, esprime questa figura scegliendola tra i porporati di maggiore esperienza.
Se è vero che Bertone, dal 2006 ad oggi, ha dimostrato incertezza nella gestione di alcune vicende, dal discorso di Benedetto XVI a Ratisbona alle proteste dei vescovi per la revoca della scomunica ai lefebvriani, dalle frizioni con la Cei alle relazioni complicate con la politica italiana, è altrettanto vero che l’ex arcivescovo di Genova rischia di diventare il (comodo) parafulmini di un pontificato che a fatica, tra intrighi e sospetti, sta cercando di fare pulizia all’interno della Chiesa.
L’obiettivo di questa guerra di corvi, è stato detto più volte, è proprio il pontefice che, con grande onestà intellettuale, già nel 1977 spiegò che «La Chiesa sta divenendo per molti l’ostacolo principale alla fede. Non riescono a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo». E nella Via Crucis del 2005 al Colosseo, con Giovanni Paolo II ormai morente, pronunciò queste parole altrettanto drammatiche: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!». Parole che spiegano benissimo la linea della “tolleranza zero” nei confronti dei casi di pedofilia nel clero che il Papa sta portando avanti con tenacia e molti ostacoli da quando è stato eletto.
Prendiamo un documento, tra i tanti pubblicati da Gianluigi Nuzzi nel libro Sua Santità, che curiosamente è passato quasi inosservato sui media e tra gli analisti. Eppure, è molto importante per capire il grado di ostilità che una parte della Curia romana nutre nei confronti di Joseph Ratzinger al quale, mentre guidava la Congregazione per la Dottrina della Fede, fu a lungo impedito di procedere nei confronti di Padre Maciel, il potentissimo e ricchissimo sacerdote messicano a capo dei Legionari di Cristo che aveva una doppia vita, era coinvolto in numerosi casi di pedofilia e assolse in confessionale anche alcuni stupratori. Molto chiaro, su di lui, il giudizio del pontefice che nel libro-intervista Luce del mondo definì Maciel «un falso profeta» con una vita condotta «al di là di ciò che è morale: un’esistenza avventurosa, sprecata, distorta».
Il documento in questione è l’appunto choc del segretario personale del Papa, don Georg Gaenswein, dopo il colloquio con il legionario stuprato da Maciel, il quale nella Curia romana ha potuto godere, per anni, di ampie coperture perché erano in molti a non credere al suo reale coinvolgimento in casi di pedofilia. Molti, tranne Ratzinger che, impossibilitato a procedere nei suoi confronti, chiese addirittura a Papa Wojtyla di poter lasciare il suo incarico.
L’altro tassello importante di quest’ostilità nei confronti del pontefice riguarda l’ex presule di Vienna Hans Hermann Groer. Nel maggio 2010, l’attuale arcivescovo della capitale austriaca, il cardinale Christoph Schonborn, grande amico di Benedetto XVI, ha attaccato senza molti giri di parole l’ex segretario di Stato vaticano Angelo Sodano accusandolo di aver insabbiato l’inchiesta sugli abusi compiuti da Groer. In quell’occasione, Schonborn ha affermato esplicitamente che Sodano impedì la creazione di una commissione di inchiesta sul caso a differenza di Ratzinger, che propendeva per l’indagine, e restò “accerchiato” da quei settori vaticani che invece tendevano ad insabbiare.
Groer nel 1995 venne accusato di molestie sessuali da un suo ex studente. Di lì a poco diversi altri ex studenti denunciarono di aver subito simili violenze e il presule fu costretto a dimettersi da arcivescovo di Vienna e venne trasferito al monastero di Roggendorf, dove restò fino al 1998 sostanzialmente impunito.
A dimostrazione che l’obiettivo dello svolazzare dei corvi sia il pontefice e la sua azione di purificazione della Chiesa va ricordato che alcuni cardinali di Curia si sono rifiutati di testimoniare al processo di beatificazione di Giovanni Paolo II. Sarebbero gli stessi che fermarono le indagini della Congregazione per la Dottrina della Fede sui casi Maciel e Groer. Qualcosa di molto ingombrante che, se fosse venuta fuori nel processo, sarebbe stato un boomerang.
Non solo, ma l’unico cardinale che ha restituito al mittente le generose offerte in denaro arrivate dai Legionari è stato proprio Ratzinger mentre un nunzio apostolico, oggi cardinale, fece lo stesso rimandando al mittente il dono di una vettura nuova già immatricolata a suo nome.
Molti, infine, che hanno ostacolato le indagini su Maciel e Groer hanno anche ingannato Giovanni Paolo II fino a convincerlo della loro innocenza. Il Papa polacco si fidava dei Legionari al punto che indirizzò alla loro Congregazione il figlio di un suo collaboratore che voleva diventare prete. E, se avesse conosciuto tutta la verità, probabilmente non avrebbe consentito alla sospensione “a divinis” di una vittima di Groer che dopo anni trovò il coraggio di denunciare gli abusi.
È evidente, quindi, che Ratzinger, già da cardinale, su questi due casi ha pestato i piedi a molti in Vaticano proseguendo con la sua opera anche quando è diventato papa. Sta qui anche la spiegazione di quello svolazzare di corvi che, tra scandali e documenti trafugati, vuole, ieri come oggi, ostacolare Benedetto XVI e indebolirne la figura.