Lo scrittore rampanteUna bella storia avrà più lettori del vostro ombelico

"Perché scrivi?" è la domanda da cui un aspirante scrittore si sente più spesso e inevitabilmente investito. Personalmente me l'avranno fatta un centinaio di volte anche se non ho mai nascosto di s...

Perché scrivi?” è la domanda da cui un aspirante scrittore si sente più spesso e inevitabilmente investito. Personalmente me l’avranno fatta un centinaio di volte anche se non ho mai nascosto di sentirmi più portata per il giornalismo che per la narrativa. Non importa che a porre il quesito sia un amico, un insegnante, un passante, oppure che il punto interrogativo resti a galleggiare inespresso nell’aria. Chi scrive sentirà prima o poi quel perché incombere sulla sua testa.

La domanda però, è probabilmente mal posta e frutto di un’eccessiva semplificazione. La vera questione è piuttosto “per chi scrivi?“. Roberto Cotroneo sostiene che si scriva sempre e comunque per gli altri, mai solo per sé stessi. E perché gli altri ci leggano.

Non sono d’accordo. Nella maggior parte dei casi nel nostro Paese si scrive per sé. E la schiera di chi pensa alla scrittura in modo egoistico è fatta da diverse specie. Elenco quelle che a mio avviso sono le principali, secondo una personalissima e molto stringata classificazione che non sottintende giudizi o graduatorie: tutti gli scrittori meritano rispetto, innanzitutto perché si mettono in gioco. E ben sapendo che nella maggior parte dei casi un autore somma in sé diverse motivazioni o le cambia nel corso della vita. Motivazioni tutte dignitose che anch’io ho sperimentato.

In primo luogo ci sono gli annoiati. Al sudoku e al cinema preferiscono la triste schermata di Word o un più banale foglio di carta. Solo per passare un po’ di tempo, senza velleità ne rischi per la collettività.

Poi ci sono i malati cronici: usano le parole per gestire il dolore, una perdita, la solitudine. Assumono la scrittura come un calmante che mette al riparo da se stessi e dai problemi quotidiani. Approccio che rispetto, ma che in fin dei conti riconosce alla scrittura lo stesso valore di un’aspirina. Il mal di testa passerà certo in quell’occasione, ma prima o poi tornerà a farci visita. In fin dei conti sono degli illusi.

Lo scrittore egocentrico può appartenere anche a una terza schiera, quella che io definisco degli abbagliati: scrivono per mettere nero su bianco un’idea che è sembrata loro originale. Vengono abbagliati dall’arguzia di una trovata narrativa che credono di aver partorito per primi. Quasi sicuramente da qualche parte del mondo e in qualche attimo del tempo esisterà già un romanzo che ha raccontato esattamente quell’ideuzza brillante, solo meglio e in un minor numero di pagine. Il loro errore – se così si può definire – e di avere letto poco.

Gli autocompiaciuti meritano una sezione a parte. Si improvvisano epigoni di Flaubert per celebrarsi, per avere almeno nella scrittura le conferme e le soddisfazioni che non arrivano da lavoro e relazioni interpersonali di qualsiasi tipo. Tutti gli uomini che ho avuto mi hanno lasciato? Ecco, mi metto a scrivere romanzi nei quali la protagonista vive complicate e infelici storie che inizialmente sembrano perfette e destinate a durare per l’eternità e che poi vanno in frantumi al primo starnuto.

Infine, ci sono i narratori puri. Questi scrittori, ahimè la minoranza, vogliono in prevalenza raccontare una storia e sono narcisisti in modo marginale o tollerabile visto che , seppure insopportabili, sfornano opere incredibili. Hanno una bella vicenda – attinta dalla realtà o totalmente di fantasia poco importa – e sentono il bisogno insopprimibile di trasmetta ad altri, di tramandarla. Di salvarla dalla furia del tempo e dell’oblio. Questo genere di narratori è l’unico che può pensare di rivolgersi a un pubblico di lettori, offrendo però, un prodotto di qualità.

Annoiati, malati cronici, abbagliati e autocompiaciuti possono permettersi corbellerie di ogni sorta, esotismi al limite del buon gusto, raffinate elucubrazioni mentali, storie oscure e lacunose dove non si capisce un’acca. Non fanno male a nessuno.

Lo scrittore che parla a un pubblico o che brama la pubblicazione, invece, si complica terribilmente la vita. I lettori sono mediamente più intelligenti di lui, hanno più esperienza di lui e grazie a un innato ed esclusivo sesto senso, capiscono immediatamente quando un narratore, esordiente o navigato non importa, lo sta prendendo per il naso. Una storia riciclata, debole, tirata per le lunghe per più pagine del necessario, costruita su sponde inverosimili e condita di banalità, riciclata da un precedente volume o copiata da un altro autore viene subito smascherata. I trucchi da prestigiatore di seconda scelta e le invocazioni del mago Otelma non vi metteranno al riparo da un potenziale lettore deluso o inviperito.

Non avete ancora capito se scrivete per voi stessi o per degli ipotetici lettori? Se avete fatto lo sforzo di scrivere delle pagine e queste non girano solo attorno al vostro degnissimo ma pur sempre personalissimo ombelico, chiedetevi se quelle stesse pagine meritano il denaro e soprattutto il tempo di chi le leggerà. Forse un po’ spietato, ma efficace.