di Angelo Zambelli*
A ben vedere, si tratta forse di una delle modifiche più significative introdotte dal Disegno di Legge: stiamo parlando della corsia preferenziale che è stata strutturata – nei commi da 47 a 68 dell’art. 1 – per le controversie giudiziali in tema di impugnazione dei licenziamenti rientranti nell’ambito di applicazione del “nuovo” art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. La prima impressione che si ricava dalla lettura delle disposizioni in commento è che il Legislatore, dopo aver previsto con la Legge 183/2010 (Collegato Lavoro) un rigido regime decadenziale con un preciso intento deflattivo del contenzioso, voglia oggi affiancarvi un rito processuale speciale caratterizzato da particolare celerità: a tale proposito va segnalato che, fermo il tradizionale termine di sessanta giorni dall’intimazione entro il quale impugnare il licenziamento in via stragiudiziale, il successivo termine decadenziale di 270 giorni previsto dal Collegato Lavoro entro il quale deve essere proposta la relativa causa viene abbassato a 180 giorni(comma 38). Tale nuovo regime decadenziale si applicherà solo ai licenziamenti intimati dopo l’entrata in vigore della norma. Ciò premesso, vediamo le novità salienti introdotte in campo processuale. Innanzitutto, potranno accedere al «Rito speciale per le controversie in tema di licenziamenti» (comma 47) non soltanto le dispute «aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’articolo 18», bensì anche quelle che comportino – in uno con il recesso – la necessità di risolvere «questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro» (si pensi in particolare ai rapporti intercorrenti con titolari di partita IVA o alle collaborazioni “autonome” o senza progetto, dissimulanti in realtà rapporti di lavoro subordinato). Lo svolgimento del processo, poi, è improntato alla massima urgenza (come ripetutamente chiesto anche in sede comunitaria al fine di invogliare gli investimenti nel nostro Paese). E’ stata, infatti, prevista al comma 48 una fase di «Tutela urgente», che si propone «con ricorso al Tribunale in funzione di giudice del lavoro». Viene meno, tuttavia, la necessità di dimostrare la sussistenza dei tradizionali requisiti dell’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. (fumus boni juris e periculum in mora), in quanto «il ricorso deve avere i requisiti di cui all’articolo 125 del codice di procedura civile»: vale a dire, oltre all’identificazione dell’ufficio giudiziario, delle parti e dei rispettivi procuratori, «l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni». Poiché la norma richiama gli elementi comuni a tutti gli atti giudiziari, è da pensare che proprio nell’estrema semplificazione di questo rito si potrà verificare l’effettiva idoneità del nuovo procedimento nel determinare in tempi rapidissimi la legittimità o meno del recesso. Fissata l’udienza «non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso», il relativo decreto deve essere notificato alla controparte unitamente al ricorso nel termine assegnato dal Giudice, che deve essere «non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza», e nell’ulteriore termine «non inferiore a cinque giorni prima della stessa udienza» il resistente è tenuto a costituirsi in giudizio. Viene precisato che tale incombente può essere adempiuto «anche a mezzo di posta elettronica certificata» (un mezzo – questo – ripetutamente richiamato nella riforma) e che «qualora dalle parti siano prodotti documenti, essi devono essere depositati presso la cancelleria in duplice copia». Dopo di che si dovrà tenere «l’udienza di comparizione» delle parti «fissata non oltre trenta giorni dal deposito del ricorso» (una bella sfida per i ruoli già molto “carichi” dei magistrati del lavoro) e «il giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, ai sensi dell’articolo 421 del codice di procedura civile e provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva, all’accoglimento o al rigetto della domanda». Avverso il provvedimento che decide il giudizio – la cui efficacia «non può essere sospesa o revocata fino alla pronuncia della sentenza con cui il giudice definisce il giudizio instaurato ai sensi dei commi da 51 a 57» – è prevista la possibilità di «opposizione», nei modi e nelle forme tipiche del rito del lavoro dettate dall’art. 414 c.p.c., con ricorso «da depositare innanzi al Tribunale che ha emesso il provvedimento opposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione dello stesso, o dalla comunicazione se anteriore». E’ stato, peraltro, specificato che «con il ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al comma 47, salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi o siano svolte nei confronti di soggetti rispetto ai quali la causa è comune o dai quali si intende essere garantiti. Il giudice fissa con decreto l’udienza di discussione non oltre i successivi sessanta giorni, assegnando all’opposto termine per costituirsi fino a dieci giorni prima dell’udienza». Effettuata la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza (anche a mezzo di posta elettronica certificata), costituitosi il convenuto «mediante deposito in cancelleria di memoria difensiva a norma e con le decadenze di cui all’articolo 416 del codice di procedura civile», anche in relazione alla chiamata di terzo (disciplinata dai commi 54 e 55), e separate eventuali questioni proposte in via riconvenzionale laddove non fondate «su fatti costitutivi identici a quelli posti a base della domanda principale», si tiene l’udienza di discussione entro sessanta giorni dal deposito del ricorso, ma il termine potrebbe slittare proprio in ipotesi di chiamata in causa di terzo. In occasione dell’udienza «il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti richiesti dalle parti nonché disposti d’ufficio … e provvede con sentenza all’accoglimento o al rigetto della domanda, dando, ove opportuno, termine alle parti per il deposito di note difensive fino a dieci giorni prima dell’udienza di discussione». Sempre nell’ottica di celerità del procedimento di cui abbiamo già detto, la sentenza, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di discussione, ha efficacia provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Il legislatore – ai successivi commi 58 e seguenti – ha ovviamente disciplinato anche gli ulteriori gradi del giudizio di impugnazione della sentenza avanti la competente Corte d’Appello ovvero la Corte Suprema di Cassazione: gradi processuali ispirati sempre alla massima (e auspicata) celerità. Quanto al primo, da proporre «a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione» della sentenza «o dalla notificazione se anteriore», viene mantenuto il divieto di ammettere «nuovi mezzi di prova o documenti, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli in primo grado per causa ad essa non imputabile». Fissata «l’udienza di discussione nei successivi sessanta giorni», fermi «i termini previsti dai commi 51, 52 e 53», «alla prima udienza, la Corte può sospendere l’efficacia della sentenza reclamata se ricorrono gravi motivi». Dopo di che «la Corte d’appello, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammessi e provvede con sentenza all’accoglimento o al rigetto della domanda, dando, ove opportuno, termine alle parti per il deposito di note difensive fino a dieci giorni prima dell’udienza di discussione. La sentenza, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di discussione». Da segnalare che la sospensione dell’efficacia della sentenza pronunciata in tale sede deve essere chiesta alla stessa Corte d’Appello «che provvede a norma del comma 60»: essendo francamente difficile pensare che la Corte possa accogliere siffatta istanza relativa ad un proprio provvedimento, è evidente che diverrà ancor più stringente, da parte di chi la solleverà, la prova dei «gravi motivi» che sottendono alla stessa. Con riferimento, da ultimo, all’impugnazione avanti la Corte di legittimità, il relativo ricorso «deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla comunicazione» della sentenza pronunciata in grado di appello «o dalla notificazione se anteriore», e «la Corte fissa l’udienza di discussione non oltre sei mesi dalla proposizione del ricorso», termine quest’ultimo che, se fosse rispettato, darebbe una forte accelerazione alla conclusione definitiva delle controversie sottostanti, oggi normalmente nell’ordine dei quattro anni per il solo grado di legittimità. A completamento di questo impianto la riforma prevede, infine, che alla trattazione delle controversie in tema di impugnazione dei licenziamenti «devono essere riservati particolari giorni nel calendario delle udienze» (comma 65) e che le disposizioni in esaminate troveranno applicazione «successivamente all’entrata in vigore della presente legge» (comma 67): come dire, anche i vecchi licenziamenti avranno il rito nuovo.
*Responsabile dipartimento di Diritto del Lavoro di Grimaldi Studio Legale