E ora è arrivato anche l’esperto di Public relations. La segreteria di Stato vaticana – lo scoop è di Nicole Winfield e Victor Simpson dell’Associated press – ha ingaggiato Greg Burke, brillante corrispondente romano di Fox News, vicino all’Opus dei, come consulente per la comunicazione. Gli incidenti in cui è incorso il cardinale Tarcisio Bertone in questi anni non sono pochi. Agendo in autonomia dalla sala stampa vaticana, ha rilasciato dichiarazioni e interviste – da ultimo a Famiglia cristiana – che il Papa e i suoi uomini avrebbero volentieri evitato. Il caso Vatileaks, le carte riservate della Santa Sede finite sui giornali italiani e nel libro di Gianluigi Nuzzi Sua Santità, hanno poi confermato che più ancora che su un problema di governo la gestione Bertone si stava avvitando sui nodi della comunicazione pubblica. E alla fine il Vaticano ha deciso di correre ai ripari cooptando un ottimo professionista. Americano.
E’ solo l’ultimo americano che conta nella Curia romana. A pilotare il defenestramento di Ettore Gotti Tedeschi dalla presidenza dello Ior è stato Carl A. Anderson, leader dei potenti Cavalieri di Colombo, lobby statunitense vicina ai Repubblicani che gestisce uno dei più ricchi gruppi assicurativi d’Oltreoceano. Un ruolo sempre più determinante, ancorché dietro le quinte, è stato poi svolto in questi mesi dall’avvocato Jeffrey S. Lena, che prima ha difeso la Santa Sede nei processi statunitensi contro i preti pedofili e ora sta gestendo con maestria la partita che il Vaticano gioca a Strasburgo per entrare nella white list dei paesi impermeabili al riciclaggio del denaro sporco. Ancora, “assessore” della segreteria di Stato, ossia numero quattro della burocrazia vaticana, è il monsignore statunitense Peter B. Wells, tanto cordiale quanto discreto ed efficiente.
La squadra americana del Vaticano, insomma, è folta e agguerrita. E il Papa e Bertone sembrano determinati a lasciarle un ampio margine d’azione. Il feeling tra Ratzinger e il mondo cattolico anglosassone, del resto, è stato palpabile nei tre viaggi che Benedetto XVI ha compiuto negli Stati Uniti, in Australia e nel Regno Unito. La Chiesa negli Stati Uniti, poi, è all’avanguardia. Forte dell’alleanza geopolitica della Casa bianca con il Vaticano di Wojtyla, ha gestito gagliardamente la fine della guerra fredda. Sono stati i vescovi statunitensi ad affrontare per primi – sopravvivendo – lo scandalo dei preti pedofili, scoppiato Oltreoceano diversi anni prima (2002) che negli altri paesi (2010). Ora hanno ingaggiato una battaglia – spesso oltranzista – con l’amministrazione Obama su tematiche come la libertà di coscienza, la riforma sanitaria e i matrimoni gay. Temi che molti, in Vaticano, considerano il banco di prova della presenza della Chiesa nella società del futuro. Provengono infine dai cattolici a stelle e strisce le maggiori donazioni alle casse del Vaticano, tramite l’obolo di San Pietro, il contributo della conferenza episcopale o le offerte di gruppi, appunto, come i Cavalieri di Colombo. La Chiesa cattolica americana, insomma, c’è e conta. Nel presente e, chissà, nel futuro. Tenete a mente i nomi dei cardinali Timothy M. Dolan e Sean O’Malley. Uno di loro potrebbe essere il prossimo Papa.