neofitismiVogliamo la bicicletta

C'è una cosa su cui perdiamo sempre miseramente il confronto con tutte le grandi città straniere: i trasporti pubblici. Non c'è proprio storia: in qualsiasi altra metropoli ci sono più linee, più f...

C’è una cosa su cui perdiamo sempre miseramente il confronto con tutte le grandi città straniere: i trasporti pubblici. Non c’è proprio storia: in qualsiasi altra metropoli ci sono più linee, più frequenti, più puntuali. Di solito ci si giustifica dicendo che a Parigi o a Londra hanno iniziato molto prima a costruire la metropolitana, per questo è più estesa. E poi, vuoi mettere quanto costa il biglietto da loro?!

Se questi argomenti scricchiolano già con riferimento alla metro, crollano del tutto quando si parla di bike sharing. Il Velib, il servizio del comune di Parigi, è nato solo cinque anni fa. Per una città di 105,4 km quadrati hanno installato da subito 1.237 stazioni, per la bellezza di 16.110 biciclette disponibili 24 ore su 24.
Il BikeMi milanese, a quattro anni dall’inaugurazione, aspetta ancora di espandersi fino «a contare complessivamente 200 stazioni e 3.650 biciclette». Per una città di 181,76 km quadrati. E solo quest’estate, in via sperimentale, le stazioni rimarranno attive tutta la notte durante i weekend. Non solo: l’abbonamento annuale ai milanesi costa 6 euro in più, quello giornaliero 80 centesimi in più (inspiegabilmente quello settimanale è più economico: 6 euro a Milano contro gli 8 di Parigi).

Non ci sono facili luoghi comuni per spiegare questa differenza. Non è che a Parigi non danneggino/rubino le biciclette. Le cose qui (non) funzionano come in qualsiasi altro Paese latino. Ad ogni stazione ci sono bici con le ruote sgonfie, le catene sradicate, i cerchioni piegati. Biciclette senza sellino o con il cambio spanato. E sì, qui ci sono più piste ciclabili, ma sono ingombrate come quelle milanesi. C’è di tutto: pedoni, passeggini, auto parcheggiate, pullman, segway, motorini. I ciclisti parigini sono costretti a essere incoscienti e sprezzanti del pericolo quanto quelli italiani. Vanno sui marciapiedi e contromano, attraversano «quando non passa nessuno» incuranti del colore del semaforo e, per svoltare a sinistra, devono seguire il giro delle strisce pedonali. Per di più devono trascinare le biciclette su e giù da salite estenuanti che, per fortuna, la cartografia di Milano ci risparmia.

Insomma, sindaco: non ci sono scuse per non dare ai milanesi un servizio di bike sharing come si deve. Scommetto che se ci fossero le stazioni dove la gente abita, anziché solo dentro la cerchia delle mura, lo userebbero anche.