Tenere il passo alle balle “politiche” di Vendola è faticoso. Le ultime di questi giorni fanno sorridere e, quasi in funzione anticiclica, annunciano il ritorno alla fiction, il vero volto della politica italiana della seconda Repubblica. Dopo quell’aut aut sulle coppie di fatto, così rilevante e rivoluzionario da mettere i brividi a Lagarde e Schauble, il buon governatore da Terlizzi ora sostiene che l’Acquedotto Pugliese SpA sia una «straordinaria azienda risanata».
Bene. Che Aqp SpA sia una azienda, i pugliesi, e anche le pietre, l’han sempre saputo, anche perché l’acqua del rubinetto dal Gargano al Salento non è gratis: costa 1,6063 euro a metro cubo, aumenta da anni (1,31 euro nel 2009, 1,44 nel 2010 e 1,5454 nel 2011) e, tra perdite fisiche e acqua non pagata, si disperde per il 47%. Ma Vendola e la sua giunta, si sa, a smentire le analisi 2008 dell’Istat sul colabrodo d’Italia ci han messo un battito di ciglia.
Che poi detta società sia «straordinaria» e, in particolare, «risanata», al netto della calura da Caronte e della sua retorica sull’acqua bene comune e gratis, qualcuno avrebbe dei dubbi molto seri pur sapendo che l’Aqp ha chiuso il biennio 2009-2010 rispettivamente con utili d’esercizio pari a 10,3 e 33,4 milioni di euro (grazie all’aumento di fatturato, tariffa e 8,5 milioni di euro come cessione della quota della Basilicata).
A scalfire l’atarassia di Nikita ci sarebbe “solo” una relazione del 13 aprile scorso della Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti – sulla gestione finanziaria dell’Aqp SpA per gli esercizi finanziari 2009 e 2010. L’ha firmata Cinthia Pinotti, l’hanno letta e ascoltata tutti, ma forse soltanto Vendola continua a fingere di non conoscere i dubbi cartesiani dei magistrati contabili sulla ribattezzata «straordinaria azienda risanata».
Primo: l’aspettativa di continuità dei positivi risultati conseguiti negli esercizi 2009 e 2010, come risulta dall’ultimo piano industriale approvato, condizionata dalla presumibile crescita significativa dell’indebitamento netto stante l’ingente mole di investimenti ancora da realizzare (il capitale sociale deve essere gradualmente aumentato da parte dell’azionista fino all’importo cumulato di 200 milioni di euro di cui 46 milioni entro il 2013), con il rischio per la società di ricercare consistenti finanziamenti rispetto alle linee di credito attualmente già disponibili ed utilizzate in una congiuntura di probabile apprezzamento del costo del denaro.
Secondo: la delibera assunta dall’azionista Regione Puglia il 27 giugno 2011 per la distribuzione straordinaria di una tantum di dividendi per complessivi 12.250.000 euro a valere sulle riserve straordinarie di utili ante 2010, alla luce dell’impatto di detta scelta sull’equilibrio economico finanziario della società specie con riferimento alla sua prevedibile evoluzione nel medio periodo;
Terzo: la rinuncia da parte della società Aqp SpA alle azioni (comprese quelle sociali) di responsabilità verso gli amministratori che hanno stipulato i contratti derivati e verso gli attuali amministratori;
Quarto: l’erogazione a favore dell’amministratore unico di un incentivo straordinario collegato all’attività svolta per favorire la transazione tra Aqp SpA e la società finanziaria;
Quinto: le disponibilità liquide diminuite progressivamente da 187,6 milioni di euro del 2008 a 128,5 milioni di euro del 2009 fino a 86,2 milioni di euro del 2010;
Sesto: l’alta spesa per consulenze legali esterne alla luce delle professionalità di cui dispone il servizio legale che potrebbero essere ancor meglio valorizzate. Sensibile scostamento tra spesa per consulenze legali/amministrative (1.351.501,03 euro nel 2009, 1.262.023,06 nel 2010) e spesa per consulenze tecniche (378.541,29 euro nel 2009, 196.610,18 nel 2010) difficilmente spiegabile alla luce dell’attività svolta dalla società.
Ma alle “narrazioni” della Corte dei conti, si sa, il leader di Sel preferisce i fatti. Tanto da dirne una ancora più grossa, proponendo cioè per l’ente idrico addirittura una cogestione alla tedesca, con la «mission di diventare un’azienda pubblica, che sia di proprietà dei lavoratori e dei cittadini, e da questi venga governata», a soli tre mesi di distanza dalla sentenza (n.62/2012) con cui la Corte costituzionale ha bocciato buona parte del suo mandato politico. Il 7 marzo scorso infatti la Consulta ha dichiarato illegittimo (quindi annullato) l’impianto normativo regionale (leggi 9 e 11 del 2011) che prevedeva da una parte la trasformazione in azienda pubblica dell’attuale società per azioni di diritto privato e dall’altra l’affidamento della gestione del ciclo integrato dell’acqua.
Come disse lo stesso Nichi a margine dell’assemblea dell’Aqp del giugno scorso, quella che approvò tra le altre cose il piano industriale 2011-2014 con investimenti per 674 milioni di euro e un indebitamento destinato a lievitare da 219 a 402 milioni, «è indispensabile fare i conti con la realtà per non precipitare nei burroni della demagogia: sull’Acquedotto abbiamo deciso di intraprendere la strada dell’efficientamento e su quella proseguiremo. Per questo non abbasseremo le tariffe».