IL CALCIO IN BIANCO E NERODeschamps, un “capitano” vincente per la Francia

"Diventare ct della nazionale di calcio francese, era scritto nel più profondo del mio cuore''. E ancora: "Se non riuscirò a portare la Francia ai Mondiali, lascerò il mio posto". Parole e musica ...

Diventare ct della nazionale di calcio francese, era scritto nel più profondo del mio cuore”. E ancora: “Se non riuscirò a portare la Francia ai Mondiali, lascerò il mio posto“. Parole e musica di Didier Deschamps, “Didì” per quei tifosi juventini che lo hanno potuto ammirare nel quinquennio della sua permanenza sotto la Mole dal 1994 al 1999.

All’epoca dell’approdo a Torino era un campione già affermato, ma ancora affamato di vittorie. Proveniva dall’Olympique Marsiglia, dove aveva alzato la Champions League battendo il Milan di Fabio Capello, uno squadrone che in Italia dettava legge da anni. A prima vista, data la corporatura minuta, faceva tenerezza; in campo (e negli spogliatoi), invece, mostrava la sua vera natura: quella di un “piccolo gigante”.

All’interno del rettangolo di gioco si piazzava davanti alla difesa, per smaltire il traffico e dirigere le operazioni. La migliore descrizione delle sue caratteristiche l’aveva fornita proprio lui all’alba dell’esperienza bianconera come calciatore: “Non mi piace barare. Allora: non sono un fuoriclasse e neppure il giocatore che fa la differenza. Ma a centrocampo garantisco quantità e qualità. Uno di quelli di cui in genere si dice che non si fa notare, ma se c’è si sente“.

Fece incetta di trofei, conquistando il mondo, oltre l’Europa, con la maglia juventina addosso. Marcello Lippi lo vedeva come un allenatore in campo. Assieme a Gianluca Vialli (il leader riconosciuto del primo gruppo a disposizione del tecnico viareggino) lo coccolarono ai tempi in cui – infortunato – era stato acquistato da Madama ma ancora non era riuscito a dimostrare il suo valore. A dimostrazione di un carattere che certo non gli manca aveva poi discusso animatamente tanto con il primo (“È vero, io e l’allenatore abbiamo litigato, ma non ci siamo presi a botte. Solo che non doveva mettermi in panchina senza dirmelo: l’ho saputo da altri, così non si fa“) quanto con il secondo (“Ho sbagliato a scegliere il Chelsea: il calcio inglese non fa per me. E, poi, Gianluca è cambiato: non è più l’ uomo che conoscevo“). Dopo Francia, Italia e Inghilterra aveva chiuso col calcio giocato in Spagna, al Valencia.

Come allenatore ha percorso la stessa strada intrapresa da calciatore: quella della vittoria. Conclusa l’esperienza al Monaco (dove aveva compiuto un mezzo miracolo sfiorando la Champions League nel 2004, perdendola nella finalissima contro il Porto di José Mourinho) ha guidato la Juventus al ritorno in serie A dopo il terremoto di Calciopoli. L’aveva lasciata (con tanto di rimpianti) per divergenze con l’allora gruppo dirigenziale capitanato da Jean Claude Blanc quando mancavano due giornate al termine del campionato cadetto, per poi fare ritorno a Marsiglia. Lì, tanto per cambiare, ha conquistato sei trofei in tre stagioni.

Adesso l’aspetta l’avventura alla guida della nazionale del suo paese, proprio lui che aveva alzato – da capitano – la coppa del Mondo il 12 luglio 1998, a Parigi. Due anni dopo, per la cronaca e la storia, era arrivato il turno dell’Europeo. Faceva parte di un gruppo di giocatori straordinari, dove tra gli elementi di spicco figurava il compagno di squadra – anche in bianconero – Zinedine Zidane.
Con la maglia dei Bleus ha accumulato 103 presenze, la prima delle quali avvenne grazie alla convocazione di Michel Platini, altra leggenda del calcio francese. Dopo l’ultima apparizione non riservò parole al miele per l’attuale presidente dell’UEFA: “Non capisco come mai Platini continui a sostenere che non sono un grande calciatore. Affari suoi, comunque“.

All’inizio della carriera da allenatore gli erano sfuggiti, in un colpo solo, tanto il Chelsea di Abramovich quanto la Juventus del dopo Lippi (bis), così come era capitato con la stessa Francia, negli istanti in cui la sua Federazione era dubbiosa se rinnovare o meno il mandato a Raymond Domenech (2008). Il 15 agosto, in occasione dell’amichevole programmata contro l’Uruguay, potrà cominciare quel cammino che ha sempre desiderato.
Le prime parole da lui pronunciate, oltre a quelle citate in precedenza, sono state: “I giocatori non hanno più diritto all’errore“.
Ripensando alla sua carriera, è facile immaginare che non stia scherzando.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter