MoFir BlogGli antieuro in grisaglia – Votare sull’euro e consolidare il debito, non c’è alternativa possibile

Nell'incapacità di risolvere i problemi reali, si fa appello agli ideali, ma questi non reggono all'assalto della realtà. Le istituzioni europee e italiane non riescono a dare risposte convincenti ...

Nell’incapacità di risolvere i problemi reali, si fa appello agli ideali, ma questi non reggono all’assalto della realtà. Le istituzioni europee e italiane non riescono a dare risposte convincenti alle preoccupazioni espresse dai mercati finanziari. L’attacco speculativo ai debiti sovrani dei paesi Pigs (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) è una mossa che mira alla tenuta dei cambi fissi, il cuore dell’Eurozona. Risposte che non affrontino il tema di fondo dell’architettura del sistema europeo vengono penalizzate dai mercati.

L’Italia ha votato l’accettazione del Fiscal compact e il giorno dopo lo spread tra Btp e Bund è cresciuto (ieri poi ha superato quota 521 punti). Lo stesso è avvenuto dopo le “otto” riforme del governo Monti. I politici si lamentano che i mercati non capiscono quello che il governo sta facendo, ma l’austerity va bene come politica anticiclica e non prociclica. Non ci si può attendere dalle riforme benefici immediati, specialmente in un periodo di alti tassi di disoccupazione. La richiesta tedesca di condizionare gli aiuti all’accettazione di condizionamenti politici equivale a non chiamare i pompieri per domare un incendio perché mancano caserme ben attrezzate. Anche il pompiere Banca centrale europea (Bce) resta in caserma non avendo tutti i poteri di una Banca centrale moderna come l’americana Federal reserve. E’ altrettanto chiaro che l’Unione europea non ha intenzione di consentire la libera circolazione del lavoro per consentirgli di raggiungere il capitale dove si dirige. Né è disposta a dare poteri alla Commissione per fronteggiare nelle dimensioni necessarie gli effetti asimmetrici nascenti dalla natura non ottimale dell’Euroarea.

In assenza di queste modifiche istituzionali, la fiducia nell’euro non può tornare. L’ipotesi di una politica di assistenza integrale da parte dell’Ue in contropartita della perdita di sovranità economica non è stata accolta e non disponiamo quindi dell’ombrello protettivo che gli sforzi fatti dall’Italia e i fondamentali della nostra economia meriterebbero. Se la diagnosi fosse stata giusta fin dall’inizio, avremmo potuto guadagnare tempo, cedendo il patrimonio pubblico per portare sotto 100 il rapporto debito pubblico/pil. Abbiamo preferito agire aumentando le tasse e la situazione è peggiorata dal lato del denominatore del rapporto, rendendo ancora più plausibile l’innalzamento dello spread sui titoli pubblici. Il trauma nazionale è durato troppo a lungo e non è né lecito né democratico che altri decidano per noi, in nome di non si sa più quale ideale. Lo impone la Costituzione e il buon senso.

Chiediamo perciò (a) di chiamare gli italiani a votare se desiderano stare nell’euro e assumersi le relative responsabilità e i conseguenti oneri per eliminare l’incertezza politica di cui si parla e (b) di consolidare il debito pubblico a breve, garantendone il valore reale al rimborso, riconoscendo un interesse pari all’inflazione e, se proprio si vuole incentivare l’operazione, una quota della crescita del pil reale. La nuova scadenza dei titoli dovrebbe essere collocata al di là della prossima legislatura, per consentire al nuovo governo un arco di tempo durante il quale non sarebbe assillato, a deficit pubblico nullo, dal rinnovo del debito in scadenza e da crescenti oneri finanziari dovuti allo spread. Nel contesto di questa politica, la proposta del ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, di cedere 20-25 miliardi annui del patrimonio pubblico la rafforzerebbe, ma il successo sarebbe ancora meno incerto se si accettasse l’idea di emettere obbligazioni con warrant sui beni ceduti avanzata da Antonio Rinaldi e Giorgio Sbarbaro.

Queste proposte andrebbero discusse nel silenzio di una stanza dotata di poteri decisionali onde evitare comportamenti anticipatori destabilizzanti. Ma una discussione aperta è ormai giustificata dal fatto che la pubblica opinione è inondata da giudizi e valutazioni marginali che la distolgono dai veri problemi e dalle necessarie decisioni. Il paese non ha solo bisogno che i partiti politici si comportino coerentemente con la guerra economica in atto, ma che le forze migliori vengano chiamate lealmente a contribuire.

Michele Fratianni e Paolo Savona

Articolo apparso originariamente su Il Foglio, 24 Luglio 2012, p. 2

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