Oule, nel frattempo, riflette a voce alta. Una strana cosa, e sempre uguale, le capita di frequente ultimamente…
Se arrivi in metro a piazza Vittorio, a Roma, è facile che li incontri. La maggior parte delle volte che passi dalla stazione metro del quartiere multietnico per antonomasia, devi rassegnarti, “mostrate il titolo di viaggio per favore”. Poi dipende da te. O meglio, dal tuo aspetto. Se sei bianca (o bianco), nemmeno te lo guardano, il biglietto. Se sei visibilmente italiana/o (secondo canoni e stereotipi consolidati, e quindi almeno passi per tale), potresti anche entrare attaccandoti a uno che, con il suo di biglietto, fa aprire le porte di plexiglas – tecnica efficacissima per evitare di pagare, che la sottoscritta ha visto per la prima volta a Parigi, o meglio ha sentito, un tipo sudaticcio che in un attimo si è attaccato dietro, spingendola in avanti.
Se invece sei di quegli altri – quelli variamente colorati di pelle, quelli con gli occhi tagliati in modo esotico, o ancora quelli non proprio ben vestiti, per non dire di quelli neri – allora il controllo è assicurato. Se da quelle parti ci passi di frequente, noti che il controllo è davvero un controllo solo per chi, per qualsiasi motivo, italiano visibilmente non lo è. Se poi ti muovi spesso con i mezzi pubblici a Roma, difficilmente troverai un’altra stazione in cui i controllori li vedi così spesso come a piazza Vittorio. Vengono allora alla mente parole come racial profiling, storie lette sul New York Times di controlli, spesso da parte della polizia, eseguiti in base ai tratti somatici. E che ci sono anche tesi difensive, per sostenere che non c’è niente di personale, solo semplice statistica, e che se controlli dieci messicani dalla pelle scura, per dire, è molto più probabile trovare il carico di cocaina che se fermi dieci statunitensi flaccidi. Ergo, se controlli direttamente gli immigrati sarà più facile trovare i furbi senza biglietto, avrà pensato qualcuno?
Un giorno, poi, passi con la tua collega, parlottando del più e del meno vedi due gruppetti in preda a una certa agitazione, due o tre camicie azzurrine su pantalone grigio che circondano uno spilungone nero con un bambino per mano, da una parte, e dall’altra due che definiresti rapper ispanici. Gli accerchiati sbracciano, indicano in fondo, verso le scale mobili, ti sembra di capire che uno dei rapper forse vuole dire che il suo biglietto ce l’ha il suo amico, sceso un attimo prima. Dall’altro lato lo spilungone si agita e strattona il bambino. Questo, la nuca piegata all’indietro, gira veloce lo sguardo verso le facce degli adulti che parlano, e sta per piangere. “È da un po’ che ci faccio caso, i controllori li incontro sempre qui a Piazza Vittorio”, commenti con la tua collega che ti risponderà “sì sì, è vero, l’ho notato anch’io, che stronzi”, e andando via a passi lenti fissate la scena, vi voltate a guardare, cerchi di insistere con lo sguardo, ma non hai la forza, la voglia, accidenti, proprio oggi, dopo tutto il casino in ufficio, e di nuovo le chiacchiere tra colleghe, le solite beghe.
Un paio di giorni dopo la scena si ripete, stesso colore della pelle, nera, sesso diverso, due donne, stesso copione: ferme, controllo in corso. Non puoi fare a meno di pensare che, cavoli, sarà che ho la cartella, sarà che indosso la giacca, sarà, soprattutto, che sono bianca? Il controllo, per me, è puramente formale, il volto che mi trovo di fronte annuisce ancor prima che l’abbonamento col suo foglietto scolorito siano fuori dal portafogli. Racial profiling, ti ripetono i tuoi pensieri. Allora cerchi lo sguardo di un camicia-azzurrina-pantalone-grigio a fianco delle donne fermate, lo trovi ma non lo trattieni, gli parli in fretta, non sai perché ma ti senti intimorito, e vedi subito che fa una faccia della serie ci mancava solo questa a rompermi i coglioni, noi controlliamo tutti, dice, e ti chiedi se ha capito o no che gli hai chiesto come mai sempre da queste parti, ripeti la domanda, “disposizioni”, la risposta lapidaria. E purtroppo, potrebbe anche essere vero.
Oule (illustrazione di Mariagiulia Colace)