La Corte di Cassazione con una sentenza recentissima (20.6.2012 n. 10127) affronta il delicato tema del precariato nel pubblico impiego con particolare riguardo ai lavoratori a termine del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, tanto docenti quanto ATA (volgarmente detti bidelli).
Ma prima di tutto i fatti.
Nell’ultimo anno, innumerevoli docenti supplenti delle scuole pubbliche hanno adito i Tribunali per chiedere la conversione a tempo indeterminato della successione dei contratti a tempo determinato in precedenza stipulati con il Ministero suddetto o, in via subordinata il risarcimento del danno subito per effetto dell’asserito abuso del ricorso alla contrattazione a termine da parte dell’Amministrazione.
Quanto precede sulla scorta dei principi sanciti dalla direttiva del Consiglio CE 19999/70CE del 28.6.1999, che sanziona l’utilizzo abusivo dei contratti a termine con la conversione degli stessi in contratti a tempo indeterminato.
Tale principio, sulla base della primauté comunitaria, sarebbe stato tuttavia non rispettato dalla normativa italiana in tema di arruolamento del personale scolastico, la quale consente all’Amministrazione la reiterazione sine die della stipula di contratti a tempo determinato con il c.d. personale supplente, e ciò in deroga sia alla disciplina generale sui contratti a termine (D. lgs. n. 368 del 2001, attuativa della predetta Direttiva CE), sia alle disposizioni del Testo Unico del Pubblico Impiego.
Non solo.
I c.d. precari della scuola nei propri ricorsi asserivano inoltre che la disciplina prevista ad hoc per i rapporti di lavoro pubblico (D.lgs. n. 165/2001 che esclude la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, in ragione del principio del pubblico concorso per l’accesso nei ranghi della P.A. di cui all’art. 97 Cost.) comunque sarebbe stata abrogata per effetto del successivo decreto legislativo n. 368/2001, che sanziona l’eccessivo impiego della forma contrattuale a termine con l’instaurazione di un contratto a tempo indeterminato.
Naturalmente l’Amministrazione ritenendo legittima la propria posizione di datore di lavoro, si è sempre costituita in giudizio affermando la possibilità da parte del Ministero di reiterare i contratti a tempo determinato nel settore scolastico, caratterizzato da peculiarità da escludere non solo (ed ovviamente) la conversione a tempo indeterminato ma anche la sanzione del risarcimento del danno di cui all’art. 36 del Testo Unico del Pubblico Impiego.
Entriamo nel vivo della questione.
Il problema del reclutamento del personale scolastico, in poche parole è questo: il Ministero non può sapere quanti bambini in un determinato anno frequenteranno la prima elementare o la prima media e, pertanto, di quanti insegnanti le varie scuole o comprensori scolastici abbisogneranno, né quanti insegnanti si ammaleranno o andranno in maternità…
Per tale ragione, non potendo (per esigenze di tempo), bandire ogni anno una selezione aperta per tot posti da insegnante supplente ha creato delle graduatorie di circolo entro le quali di anno in anno gli insegnanti vengono scelti e destinati ad una scuola.
Tale procedura definita del doppio canale permette di scegliere mediante alcuni concorsi periodici il 50% dei docenti a tempo indeterminato, mentre l’altro 50% viene attinto dalle graduatorie permanenti.
Scopo di tali graduatorie è proprio quello di individuare, con criteri oggettivi, i docenti cui attribuire le cattedre e le supplenze, al fine di assicurare la migliore formazione scolastica.
Pertanto, contemporaneamente all’inserimento dei nuovi aspiranti, è effettuato l’aggiornamento (scorrimento verso l’alto) delle posizioni di graduatoria di coloro che sono già ricompresi nella graduatoria e che, per tale ragione, acquisiscono “punti” in base alle supplenze svolte, così assicurando il rispetto delle posizioni già acquisite e maturando progressivamente il diritto alla stabilizzazione nei ranghi dell’Amministrazione scolastica.
In altre parole, il conferimento dell’incarico di supplenza specie quello annuale è il mezzo attraverso il quale l’incaricato si assicura l’assunzione a tempo indeterminato in quanto man mano che gli vengono assegnati incarichi di supplenza la sua collocazione in graduatoria avanza e, quindi, gli permette l’incremento del punteggio cui è correlata l’immissione in ruolo (contratto a tempo indeterminato!!!).
Ed ecco lo scontro fra le due esigenze:
da una parte, quella della P.A., di carattere eminentemente economico, che impone – specie in una situazione di crisi generalizzata – doverosi e necessari risparmi nel sistema di reclutamento;
dall’altra, quella dei lavoratori che cercano una certezza economica data da un contratto a tempo indeterminato – che “qualcuno” ha definito noioso….
In quest’ultimo anno i Tribunali e le Corti territoriali, con le loro decisioni altalenanti, a volte (la maggior parte) hanno dato ragione ai supplenti ed altre (nettamente inferiori) all’Amministrazione.
Ed ecco che proprio pochi giorni fa la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla questione, facendo forse chiarezza sulla questione.
I Giudici nomofilattici, prima di tutto hanno sgombrato il campo dalle disquisizioni sulle norme applicabili: il Dlgs. 165 del 2001 trova ancora applicazione per i rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, sottratte quindi all’alveo del d. lgs. n. 368/2001.
Poi hanno affrontano la questione centrale: la reiterazione dei contratti a tempo determinato tra Amministrazione scolastica e personale supplente oltre i limiti di cui all’art. 36 T.U. 165/2001 può essere ritenuta lesiva dei diritti del lavoratore e quindi far insorgere un diritto al risarcimento del danno in favore del lavoratore?
La risposta della Corte è negativa.
Quest’ultima, infatti, rileva come il procedimento di reclutamento del personale scolastico sia peculiare proprio in virtù delle particolari esigenze del settore, fra le quali quella – fondamentale – di garantire la continuità dell’erogazione del servizio di insegnamento scolastico, nonché quella di sopperire, con strumenti amministrativi flessibili, alla necessità di adeguare la consistenza del corpo docente in base alla popolazione scolastica di ciascun anno.
Segnatamente, la Corte, analizzando le fasi dell’avanzamento in graduatoria dei vari supplenti, arriva addirittura ad affermare: “né può sottacersi come il sistema in esame risponda anche all’esigenza di parametrare nella scuola la flessibilità in entrata che comporta una situazione di precarietà, bilanciata, però ampiamente da una sostanziale e garantita (anche se in futuro) immissione in ruolo che, per altri dipendenti del pubblico impiego è ottenibile solo attraverso il concorso e, per quelli privati può risultare di fatto un approdo irraggiungibile.”
Pertanto, l’ordinamento scolastico si pone in un regime di specialità sia rispetto alla disciplina generale del pubblico impiego che a quella ancor più generale del d.lgs n. 368/2001.
Nessun abuso quindi da parte della p.a. e, pertanto, nessun risarcimento del danno accordato ai supplenti, nè tantomeno conversione del contratto, tenuto conto che il peculiare sistema di reclutamento nei ranghi dell’Istruzione rientra secondo l’autorevole dottrina richiamata dalla Corte, “nella tipologia della flessibilità atipica destinata a trasformarsi in una attività lavorativa stabile”.
Ai “fortunelli” precari della scuola non rimane che continuare a stipulare contratti a tempo determinato per acquisire punti in vista di un futuro glorioso in cui potranno fregiarsi di essere – forse –lavoratori di ruolo.
Ma vi è ancora un punto della sentenza che, indipendentemente dal caso concreto, è da segnalare.
La Cassazione nel giustificare l’attuale ordinamento scolastico fa riferimento alle “indifferibili esigenze di carattere economico che impongono – in una situazione di generale crisi economica e di deficit di bilancio facenti parte del notorio- risparmi doverosi.”
In altre parole: la crisi fa il suo ingresso fra gli argomenti della Corte di legittimità e diventa l’ago della bilancia nei rapporti fra lo stato e i suoi lavoratori precari.
A.M.
9 Luglio 2012