A mente freddaLa società USA e le armi: un rapporto complesso, forse da chiarire

La strage avveuta ieri presso Denver, nel Colorado, ha riaperto anche in Italia il mai sopito dibattito, che si anima nei casi più tragici di public shooting, sulla facilità con cui negli Stati Uni...

La strage avveuta ieri presso Denver, nel Colorado, ha riaperto anche in Italia il mai sopito dibattito, che si anima nei casi più tragici di public shooting, sulla facilità con cui negli Stati Uniti si può entrare in possesso di armi da fuoco anche di particolare potenza. Solitamente, da questa notazione assolutamente comprensibile si arriva poi troppo presto a imputare tutto quanto a una presunta pochezza culturale dell’americano medio imbarbarito e alienato dal produttivismo, all’inseguimento del profitto delle lobby dei fabbricanti di armi che fanno il lavaggio del cervello alla gente per garantirsi un mercato, e a tante altre conclusioni sballate che squalificano un ragionamento che invece merita attenzione. Proviamo quindi a mettere insieme alcuni punti da cui può partire il dibattito.

In primo luogo, come tutti sanno, il diritto di possedere armi è negli USA un diritto civile garantito dal Secondo emendamento della Costiuzione: è quindi posto sullo stesso piano della libertà di stampa, della libertà religiosa, del diritto a un giusto processo. Non stiamo quindi parlando di qualcosa che, per i Padri fondatori, poteva essere trattato a cuor leggero dalla legislazione ordinaria. Perché? Leggiamo il testo dell’emendamento:

Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto.

Queste parole, soprattutto la prima parte della frase, ci riportano al tardo Settecento, il momento storico il cui la Costituzione fu redatta, e ci parlano del momento fondativo della costruzione dei moderni diritti individuali come limite al potere di uno stato sempre pronto a trasformarsi in dispotico. Nell’Europa liberale dell’Ottocento, l’istituzione della “guardia civica“, ovvero di un corpo di cittadini organizzati e possibilmente armati che svolgesse funzioni di polizia affiancandosi, e spesso sostituendo in questa funzione, l’esercito, e quindi proponendosi come strumento per la partecipazione dei cittadini a una “negoziazione” dell’ordine sociale non più imposta dall’alto e alla loro difesa dai soprusi, era una delle rivendicazioni centrali nei grandi moti costituzionali che hanno caratterizzato tutta Europa e anche il nostro Risorgimento.

Lo sviluppo delle istituzioni democratiche e pluraliste e la progressiva messa sotto controllo delle istituzioni democratiche delle Forze armate e di pubblica sicurezza ha gradualmente reso meno impellenti queste istanze in Europa, e anche negli USA è via via apparso sempre meno ovvio il tradizionale motto con cui la National Rifle Association commenta stragi come quella di Denver: “Se anche le vittime fossero state armate avrebbero potuto difendersi”, perché sempre più chiari risultano anche da quelle parti i problemi di una difesa “privata” illimitata e non regolata.

Per questa ragione, la politica nei confronti delle armi da fuoco varia da stato a stato: in tutti i casi è valido il principio costituzionale per cui un individuo può possedere armi se non gli è espressamente proibito, ma le possibili declinazioni del principio sono moltissime. Nel Massachusetts e a New York, gli stati che conosco meglio, comprare un’arma non è nei fatti più semplice che, per esempio, in Gran Bretagna, perché le restrizioni esplicite e implicite sono assai numerose. Andando verso sud e verso Ovest, le cose cambiano. E questo si nota anche da una superficiale osservazione del tessuto abitativo: ho girato anche piccole cittadine nello stato di New York, senza mai imbattermi in un’armeria; in Texas sono stato solo ad Austin nei pressi del campus universitario, ma già nel ristorante tex-mex in cui ero andato a centare con alcuni colleghi, frequentato in gran parte da studenti, c’era il “guardaroba” in cui si potevano lasciare le pistole: chi viveva da quelle parti mi assicurava che le armerie si trovassero già piuttosto facilmente nel downtown della capitale.

Un discorso simile vale per gli stati delle Grandi pianure o delle Montagne rocciose, tutti luoghi in cui la “frontiera” dell’espansione a ovest è stazionata assai di più che nel New England, portando con sé fino a tempi relativamente recenti (si parla dei bisnonni degli abitanti attuali) la necessità reale dell’autodifesa e la presenza solo occasionale e intermittente dell’autorità pubblica. A consolidare questo particolare rapporto con le armi ha poi contribuito il fatto, molto più prosaico, che in quelle aree la caccia grossa possa essere ancora oggi un passatempo a cui si dedicano praticamente tutti, non appena raggiungono l’età per tenere in mano un fucile senza cedere al rinculo.

A tutto questo occorre aggiungere, per concludere, che il sistema di registrazione e di controllo del commercio legale di armi è assolutamente efficiente, di un’efficienza sconosciuta in Europa, che può essere resa possibile solo dalla necessità di confrontarsi con una irrazionale diffusione delle possibilità di acquisto legale e di presidiare con attenzione maniacale il confine tra possesso legittimo e criminale. Gli Stati Uniti infatti non rappresentano un significativo bacino di fornitura internazionale di armi al crimine organizzato e non, che del resto può procurarsi pistole e fucili in America non più facilmente che in Italia e in Francia. Naturalmente, se questo è vero, fatti come quelli di Denver, di Columbine, del Virginia Tech mostrano quanto poco possa essere valido un altro motto dell’associazione di tutela del diritto al possesso di armi: “Limitare l’acquisto di armi significa toglierle alle persone oneste lasciandole in mano ai criminali”. Purtroppo, chi è criminale non ce l’ha scritto in fronte.

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