Ha avuto un bell’ardire Elisabetta Sgarbi a dedicare l’edizione di quest’anno della Milanesiana, la rassegna di letteratura musica cinema scienza arte e filosofia di cui è ideatrice e regista, al tema dell’imperfezione. Di festival culturali in Italia ce ne sono tanti. Anche troppi. E tutti ispirati alla felicità, all’eccellenza, all’amore, alla virtù, al coraggio… Come se anche la cultura, al pari dell’industria pubblicitaria, si fosse convertita a diffondere quel “canone” della perfezione che altro non è se non una caricatura dell’uomo e dell’avventura umana.
Ultimamente, ci si è messa anche la politica con la riforma proposta dal ministro dell’Istruzione Francesco Profumo annunciata in pompa magna qualche settimana fa come una palingenesi che dovrà «valorizzare il merito e l’eccellenza in base a sistemi premiali e selettivi». Dall’elezione (sic!) dello “studente dell’anno” tra chi ha superato la maturità con il massimo dei voti, alle varie “olimpiadi” che dovranno essere organizzate per ogni materia, dal greco alla matematica. Come se un’insegnante degno di questo nome preparasse la sua lezione mirando all’eccellenza del singolo e non al livello complessivo della classe, cercando poi di far collaborare l’eccellente con lo scadente in un’alleanza educativa proficua per tutti gli studenti.
Il merito è sicuramente un valore, e come tale va premiato. Ma il mito dell’eccellenza, come quello della perfezione, è uno spettro vorace che ha a che fare con il “sempre di più” e il “sempre meglio” in una competizione che alla fine avvilisce ed è foriera di invidie e conflitti. Perché è chiaro, no? Se voglio essere il manager o lo studente “dell’anno” devo fare meglio del mio collega e cercare di superarlo. Con tutti i mezzi possibili.
Tornando alla Milanesiana, la serata del 3 luglio era dedicata alla letteratura americana. Lo scrittore Paul Harding, ex batterista in un gruppo rock e premio Pulitzer 2010 con il romanzo L’ultimo inverno, ha declinato così il tema del festival: «Credo che la perfezione sia un’idea, un’intuizione, un sogno di cui si ha un vago ricordo custodito nelle leggende, come un desiderio in fondo al cuore. Quando i re e i governi cercano di calare la perfezione dal regno delle idee nella storia, questo tentativo provoca sempre catastrofi. Tuttavia, quando gli artisti fanno altrettanto, cercando di far confluire visioni di perfezione nelle loro opere, la bellezza si affaccia al mondo, e noi riconosciamo i nostri sogni, desideri e ricordi – la nostra stessa umanità – nel quadro, nella poesia, nel romanzo». Distinzione geniale!
La politica, intesa come arte di governo, non ha, e mai dovrebbe avere, la tentazione della perfezione e della purezza. Quando questo è accaduto, l’umanità ha conosciuto i Gulag, le camere a gas e i genocidi di massa.
L’artista invece, nella sua opera, può e deve mirare ad un’ideale di perfezione. Magari non lo raggiunge – anche se dopo avere ascoltato la Quinta sinfonia in do minore di Beethoven si cambia subito idea – ma avrà comunque regalato bellezza e inquietudine all’uomo che s’interroga su se stesso e sul mondo che lo circonda. Ancora Harding: «La perfezione stessa rimane sempre fuori della nostra portata, ma alle volte è un’esperienza magnifica ed emozionante. Il tentativo di interpretarla, l’esperienza di quel tentativo, il resoconto di quel tentativo racchiudono le perfezioni minori delle nostre esperienze imperfette e contraddittorie. Sono emozioni che l’arte ci offre perché in virtù di essa una cosa può essere allo stesso tempo vera e falsa, perfetta e imperfetta, potenziale e immanente, e l’arte considera tali contraddizioni belle, sacrosante e persino benedette, proprio perché assomigliano alle contraddizioni del nostro stesso cuore».
Le grandi religioni, a cominciare dal Cristianesimo, insegnano che nell’uomo la perfezione è possibile solo per grazia divina. La figura di Giobbe, nella Bibbia, da questo punto di vista è fin quasi commovente. Come ha scritto un importante esegeta Luis Alonso Schökel, Giobbe somiglia a un «ciclope gigantesco a cui manchi un occhio o abbia dita in eccedenza: la sua imperfezione e incompiutezza è forse segno dell’insufficienza umana di fronte ai problemi ultimi dell’uomo».
Lasciamo dunque perdere la perfezione e le sirene di una società sazia e disperata, com’è quella in cui viviamo, che considera perdita di tempo una pausa, le ferie e il relax una deficienza, il rallentare come un oltraggio e una caduta come il segno di un fallimento totale e irreversibile.
Siamo uomini, e come tali imperfetti. Il resto è vita, cioè passione e stupore. In due parole: una magnifica avventura.