Il loro motto è “U mari nun si spirtusa”. L’obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica in merito alle ventinove richieste di trivellazione, di cui undici già concesse, nel Canale di Sicilia.
Loro sono GreenPeace. Sotto la guida della responsabile campagna Mare, Giorgia Monti, hanno intrapreso, dallo scorso 13 luglio, il “NoTrivelle Tour”. Un percorso di dieci tappe che solca tutta la parte sud occidentale della Sicilia. Portano informazione e, con l’aiuto di volontari “sporchi di petrolio” dalla testa ai piedi che scorrazzano per le spiagge piene di persone, diffondono la loro battaglia.
L’Appello, rivolto al ministero dell’Ambiente, è una proposta per difendere il Canale di Sicilia dalla corsa al petrolio e garantire una tutela duratura del mare, fonte di biodiversità e ricchezza per chi vive sulla costa.
E, leggendo queste righe, non può che tornare in mente quello che successe, poco più di due anni fa, nel golfo del Messico e che, secondo i dati di GreenPeace, ha portato alla bellezza “di circa 18 miliardi di euro“ di danni nel comparto turistico. Immaginatevi cosa potrebbe accadere se succedesse una cosa simile nel nostro Mediterraneo.
Il Canale, infatti, e’ minacciato da ben 29 richieste di ricerca dipetrolio, di cui undici già autorizzate. L’Italia è un paradiso per i petrolieri. Se le richieste fossero tutte approvate, compagnie come Shell e ENI e altre meno note come la Northen Petroleum pagherebbero in totale poco più di 66 mila euro l’anno di canone per fare ricerca in un’area di oltre diecimila chilometri quadrati. Inoltre, se trovassero il petrolio, pagherebbero delle royalties tra le più basse al mondo.
Ma non c’è, effettivamente, solo il canone hanno da pagare. Le aziende d’estrazione infatti hanno anche delle aliquote – quelle che qua sopra chiama roylities – da versare al 45% allo Stato e al 55% alla Regione.
Ma quanto valgono? Poco, e come sempre siamo fra i paesi con le percentuali ad estrazione più basse al mondo. Ad ora, l’aliquota è del 4% per gli idrocarburi estratti in mare – col decreto “Misure Urgenti per la crescita del paese” pare che si alzi al 7% -, ma con un’esenzione totale per le prime 50 mila tonnellate estratte. Non è necessario dire che, alcune di quelle già presenti, hanno estratto meno delle soglia minima e quindi non hanno versato un solo euro allo Stato/Regione. E gli altri Stati? Beh, non hanno i nostri vantaggi:
Per esempio l’Australia dal 2008 ha sostituito la royalty per la produzione off-shore con un prelievo sui redditi attraverso un’aliquota del 40%; per il Canada le royalties variano dal 10 al 45% in funzione di qualità e prezzi, negli Stati Uniti variano dal 12,5 al 30%.
Nel 2011, gli introiti da parte del Ministero dello Sviluppo Economico si aggirano attorno al totale di 2.674.280,38 euro. Voi direte: “mica bruscolini”. Beh, teniamo in considerazione che, in caso di sversamento accidentale in mare, i danni sarebbero anche 100 volte tanto questi soldi. E queste aliquote riguardano si l’estrazione in mare, ma anche quelle a terra e sia di gas che di petrolio.
I pericoli sono alti, e sono tutti a carico della comunità. Nel Canale di Sicilia, infatti,
si trova circa il 40 per cento della flotta da pesca regionale che genera oltre il 17 per cento dei ricavi nazionali per il settore, mentre l’insieme delle province che si affacciano sul Canale assorbe circa il 38,6 per cento del flusso di presenze turistiche regionali, con il 35 per cento degli occupati per alberghi e ristoranti.
Capite che un incidente, anche molto meno grave di quello della British Petroleum, segnerebbe probabilmente la fine di questi territori, anche alla luce delle lentezze nostrane.
Che fare quindi? Diffondete l’iniziativa. Parlate della cosa. Firmate l’Appello contro le trivellazioni petrolifere destinato ai sindaci. E se siete siculi, aggiungetevi a loro e contribuite alla sensibilizzazione. Perchè ricordatevi che “U MARI NUN SI SPIRTUSA!”
GIAMPAOLO ROSSI
per Wilditaly.net