Ci siamo: i paesi dell’Eurozona hanno detto sì al salvataggio alle banche di Madrid (30 miliardi di euro per cominciare) e hanno concesso un anno in più al governo di Rajoy per rimettere i conti pubblici in riga e portare il debito pubblico al 3% del Pil.
Ma non tutto è gratis. In cambio ci sono rigorose condizioni fiscali, bancarie e una supervisione della troika che, ogni tre mesi, busserà alla porta del Banco di Spagna e del ministero dell’Economia per verificare i compiti svolti.
Va tutto bene, madama la marchesa.
Mariano Rajoy, dimenticando le sue promesse in campagna elettorale, ha già annunciato un aumento dell’Iva per il prossimo venerdì. Mentre 700 mila dipendenti statali potrebbero ingrossare le fila dei centri dell’impiego.
Ma Buxelles, si sa, esige immediate misure fiscali. E la Moncloa si prepara a silurare anche i pensionati, con una drastica revisione delle pensioni. Della serie più tagli nel pieno della recessione.
Non bastasse. Alle condizioni imposte dall’Ue sul sistema finanziario e sulla politica fiscale, lunedì si sono chiuse diverse porte per la Spagna. Il lussemburghese Yves Mersch sarà il nuovo consigliere esecutivo della Bce, e il tedesco Regling presiederà il meccanismo permanente di salvataggio, benché per entrambi i posti erano in lizza cognomi iberici.
Due a zero per l’Eurogruppo che rompe un tacito accordo, sbattendo fuori il Paese dalle istituzioni europee per almeno sei anni. Tutto questo durante una recessione che peggiora di giorno in giorno, con lo spread alle stelle, la disoccupazione al 25% e i tagli sempre più duri, imposti dalla Commissione europea. Per non parlare di una credibilità ormai sotto le suole.
Stamattina insomma, gli spagnoli, a maggior ragione avrebbero preferito andare a Pamplona a festeggiare San Fermín.
10 Luglio 2012