Il mio post del 14 luglio, dedicato alla commemorazione delle Rivoluzione francese e a un possibile paragone tra la situazione che portò al suo deflagrare e quella odierna, ha avuto diverse condivisioni, pur senza essere il mio scritto di maggior successo. L’identità di alcuni degli autori degli apprezzamenti e di diversi condivisori, però, mi ha un po’ lasciato perplesso, tanto che comincio a pensare che forse i termini del mio paragone non erano del tutto chiari.
Certo, avevo volutamente lasciato un po’ al lettore attento il compito di istituire i rimandi, ma ora che qualche giorno è passato ritengo opportuno precisare.
Ho battuto molto il tasto della Rivoluzione del 1789 come lotta al privilegio, e non necessariamente alla sperequazione nella distribuzione delle ricchezze, e ho altrettanto concentrato l’attenzione sul ruolo degli aristocratici poveri per il loro tentativo di mantenere i privilegi feudali su cui si basava in gran parte la loro sopravvivenza, non certo a caso.
Oggi, infatti, mi pare che di fronte alla crisi del debito chi sta pagando sia una massa molto varia di individui e gruppi sociali, sicuramente maggioritaria, e così eterogenea da poter essere avvicinata con qualche ragione al mastodontico “Terzo stato” che raccoglieva tutti i “comuni”, dal ricchissimo imprenditore al contadino analfabeta. Oggi la crisi è pagata sì dai giovani precari, che per la rigidità del mercato del lavoro sono i primi a saltare anche se potrebbero rappresentare per la loro impresa una risorsa assai più pregiata di chi invece si è costretti a mantenere al lavoro, ma è pagata anche dal meglio dell’imprenditoria italiana, quella che cerca di competere con i paesi tecnologicamente più sviluppati e/o col dinamismo dei mercati emergenti, stando su un mercato globale in cui le protezioni interne non contano nulla, e in cui si ritrova regolarmente “scoperta” dall’assenza di una qualunque politica governativa di promozione del prodotto italiano all’estero. Naturalmente, gruppi sociali così diversi vivono la crisi in modo diverso, ma questo non cancella il fatto che, nella lotta per la determinazione di una exit strategy efficace dall’emergenza, essi abbiano esigenze simili e possano allearsi in modo fruttuoso.
Chi invece nella tempesta è più coperto dagli equilibri attuali, e quindi cerca di lasciare le cose come stanno, senza avvedersi che una situazione del genere non può continuare semplicemente perché i soldi per alimentare l’inerzia sono finiti? Sicuramente la dirigenza pubblica strapagata di fronte ai dati assai severi di qualunque controllo di qualità dei servizi che gestiscono; sicuramente i gruppi imprenditoriali che sono usi investire sul mercato interno in settori iperprotetti, laddove è più semplice e sembra quasi naturale privatizzare solo i profitti statalizzando le perdite, e che (è stato fatto notare anche su queste pagine) dalle strettoie della crisi sono stati solo sfiorati.
Ma non solo, ché abbiamo anche gli aristocratici poveri, che dal privilegio traggono la mera sussistenza, ma sono comunque beneficiati da un privilegio che non possiamo più pagare. I pensionati per anzianità, che percepiscono pensioni tra le più basse d’Europa senza averle pagate; i protetti delle lobbies sindacali che hanno indebitamente trasformato uno scudo contro ogni forma di discriminazione in una garanzia di inamovibilità ingiustificata dal diritto e dalle stesse idee guida degli estensori dello Statuto dei lavoratori, modellata su quella (dettata da esigenze diverse e storicamente comprensibili ma anch’essa discutibile, nei termini assoluti in cui è applicata in Italia) dei dipendenti della Pubblica amministrazione; i dipendenti statali inamovibili, che magari per un posto da usciere o da “camminatore” prendono qualche spicciolo di stipendio, ma che hanno comunque un lavoro che non dovrebbe esistere perché assunti dal Lombardo di turno, e che invece avrebbero dovuto inventarsi un modo per uscire dalla mera sopravvivenza a cui si dovrebbe giungere garantiti dall’assistenza sociale, non da un mercato del lavoro drogato.
Ecco, non credo che i simpatizzanti di SEL che hanno condiviso il mio pezzo “in ricordo di tutte le rivoluzioni” siano proprio su questa lunghezza d’onda…