Il modo in cui il Governo Monti intende impostare la complessa ricostruzione dell’Aquila suscita alcune legittime perplessità. Infatti il decreto emanato dal ministro Barca sembra voler ignorare che fin dalle sue origini tardo-medievali L’Aquila si configura come una città-territorio nata dal contributo di un centinaio di centri minori desiderosi di dotarsi di un mercato comune e di una autonomia comunale. Per un paio di secoli la grandezza dell’Aquila si è giocata proprio sul nesso intus-extra che legava l’urbs nova alle civitates fondatrici, come testimonia la perfetta corrispondenza tra insediamenti e toponimi intra moenia ed extra moenia.
Si trattava di un modello urbanistico multipolare calato in un territorio dalle alte qualità ambientali che si rappresentava in un grande centro, non antagonista ma di unione sinergica delle diversità.
Dalla dominazione spagnola del XV secolo fino all’età contemporanea, gran parte dei problemi dell’Aquila sono nati proprio dall’alterazione di quell’equilibrio originario, in favore di una visione urbana di tipo monocentrico, non più funzionale al territorio, con una irreversibile marginalità socio-economica dei centri minori.
Le scelte attuali del Governo, se da un lato riportano l’attenzione sulla ricostruzione della città storica – imprescindibile e per troppo tempo rimandata – dall’altro, concentrando gli interventi pubblici dentro le mura, rischiano di segnare la definitiva rottura dell’antico equilibrio territoriale, perdendo l’occasione di una robusta riqualificazione delle periferie periurbane e di un rilancio dei borghi minori i quali, nonostante le loro enormi potenzialità economiche, appaiono esclusi anche a lungo termine dalla rinascita post-sismica. Tante voci si sono alzate in difesa di questo enorme patrimonio del quale L’Aquila, l’intera provincia e la Regione, non possono fare a meno; e non solo per ragioni storiche, culturali, turistiche ed economiche, ma anche per le mutate condizioni abitative. Anche all’interno del consiglio comunale dello scorso 10 luglio, aperto anche ai sindaci dei comuni del cratere del territorio aquilano, è stata sottolineata la necessità di un raccordo con le frazioni e di un legame con il territorio, meglio ancora se istituzionalizzato.
Come più volte sottolineato, sarebbe necessario ascoltare le esigenze del territorio e progettare con loro un futuro condiviso, da potersi realizzare in tempi certi. Il rischio è che per lungo tempo decine di migliaia di abitanti debbano continuare ad organizzare la propria vita in una sorta di caotica città diffusa priva di qualunque intelligenza previsionale, nella speranza di rivedere un giorno il pur preziosissimo centro storico.
Va da sé che una simile visione accentuerebbe le criticità pre-sisma relative alla mobilità, alla discontinuità dei tessuti urbani, alla incentivazione alle espansioni suburbane, alla fratture delle reti ecologiche e vegetazionali, alla crescita caotica senza un’idea urbana, nella quale proliferano luoghi senza qualità, separati sia dal centro storico, sia dai centri minori del contado.
Preoccupa che la logica della separazione tra città e territorio venga applicata proprio da quel Governo che si fa vanto altrove di proporre efficienti accorpamenti in aree metropolitane, macro-regioni e macro-province.
E stupisce che il Ministro “per la coesione territoriale” non abbia scelto di superare l’attuale visione a-sistemica della città dell’Aquila, sollecitando la ricomposizione di un nesso virtuoso tra la città ed il suo territorio, in una prospettiva innovativa e condivisa di ricostruzione/riconversione, che consideri la riapertura graduale di parti del centro storico e la contestuale riqualificazione, rivitalizzazione e ricucitura delle zone periferiche e dei centri minori.
Associazione Policentrica Onlus