Caro Presidente Berlusconi,
chissà quante volte i suoi veri – pochissimi – amici hanno provato a parlare della vecchiaia. Di quel momento strano e naturale, in cui la vita si fa naturalmente vicina alla morte, in cui i ricordi sono più delle prospettive, in cui gli ieri sono inequivocabilmente più dei domani. I suoi amici veri, presidente, non i leccaculo, i parassiti, i donverzè con gli elisir travestiti da medicine, le ragazze che speravano di svoltare in un paio di seratine, e così via. Non quelli che – tanto per capirci – in cambio di una sua promessa erano pronti anche a giurare che lei non sarebbe morto mai.
Pensi, presidente, che questo blog nasceva proprio in suo onore: è vero, scommettendo su un dopo-Berlusconi che presto o tardi doveva arrivare, ma riconoscendole che il futuro si sarebbe definito sulla base della fine di una stagione che è destinata a portare il suo nome. Io per lei non ho mai parteggiato, ma nemmeno mai ho pensato si potesse ridurre una stagione di consenso popolare e di cambiamento sociale a una barzelletta reiterata sul conflitto di interessi, sulle tette del Drive In e sugli italiani buoi che la votavano. Trovavo e trovo che il suo fallimento sia iscritto nel miracolo italiano mai mantenuto, nemmeno in parte, non nel finale di partita un po’ penoso degli EmilioFede e dei LeleMora che parlavano dei suoi soldi mentre la distraevano con le ragazze. Per contro, penso anche che il suo fallimento politico sia stato un peccato mortale per questo paese: che di meno spesa, meno tasse e più libertà e di una èlite meno spocchiosa e meno legata alla rendita, aveva bisogno nel 1994, quando lei promise la prima volta tutto quello che non riuscì a mantenere.
Per questo, e per molte altre ragioni, mi piacerebbe tanto non vedere più – un giorno sì e l’altro pure – il suo “ritorno in campo” sui giornali, accompagnato da lanci tematici che lasciano con la lingua attaccata al palato. L’uscita dall’Euro non sarà una bestemmia, ma è una scemenza. E la sua disponibilità a fare il ministro, dichiarata oggi, è una boutade di cui il paese – quello che amava, ricorda? – non ha alcun bisogno soprattutto alla vigilia dell’ennesimo cruciale snodo europeo.
Posso solo immaginare quanto non sia facile guardarsi allo specchio impietoso degli anni passati, degli amori perduti, del futuro che non c’è più quando il passato è stato a tratti così sfavillante, così nemico della critica sincera e dell’autocritica feroce. Lei però ha conosciuto questo paese come pochi uomini: lo ha conosciuto nel profondo e lo ha plasmato. Lasci perdere il crepitio delle dichiarazioni fugaci, quelli che le danno ancora i titoli dei giornali e dei tg e si concentri a lasciarci una memoria completa, schietta, spietata di quel che ha visto, di quel che ha fatto, di quel che ha sbagliato. Faccia in modo che quando la faccia clownesca di questa sua naturale decadenza sarà definitivamente finita, resti alle generazioni che verranno uno sguardo più complesso delle sue battute fuori luogo, ma anche delle copertine dell’Economist.
Si chiuda in casa, si faccia aiutare a scrivere un libro da qualcuno che la rispetta senza averla mai amata e che vuole metterci interesse e passione per il suo paese per testimoniare una storia italiana, senza prendere un euro da lei. Anzi, se ha voglia di un centinaio di domande vere, io sono qua.
(prima pubblicazione, 26 giugno)