Papale papaleProteggere i cristiani perseguitati, ma senza ideologia

Magdi Cristiano Allam sostiene, con matematica certezza, che “oggi su 100 persone che subiscono la violazione del diritto alla libertà religiosa, 75 sono cristiani”. Il Pdl ritiene che si debbano i...

Magdi Cristiano Allam sostiene, con matematica certezza, che “oggi su 100 persone che subiscono la violazione del diritto alla libertà religiosa, 75 sono cristiani”. Il Pdl ritiene che si debbano inviare i caschi blu. E il centro culturale Lepanto, tra un convegno per la “messa tradizionale” e una difesa del papa dal “fanatismo anticlericale e anarchico”, si “mobilita” in difesa dei cristiani. Di certo il problema della persecuzione dei cristiani in varie aree del mondo – dalla Nigeria al Kenya, dall’India al Pakistan, dall’Iraq alla Cina – è reale e drammatico. Altrettanto certo, però, è il rischio che il tema finisca stiracchiato per finalità ideologiche che, alla fine, possono nuocere agli stessi cristiani perseguitati.

Conviene, prima di tutto, distinguere situazione da situazione. Dando voce, con due esempi, a chi meglio conosce la realtà del luogo. Il recente massacro di cristiani nei villaggi dello Stato nigeriano di Plateau “è originato dallo scontro tra agricoltori e pastori”, ha precisato il presidente della conferenza episcopale nigeriana, l’arcivescovo di Jos Ignatius Ayau Kaigama a Fides, agenzia stampa della congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli. “Il problema è tra i Fulani e i Birom. Questi due gruppi etnici hanno dispute che durano da molto tempo”. E, sì, “i Fulani sono in maggioranza musulmani, mentre i Birom sono in gran parte cristiani. Per questo motivo è facile dare la lettura ‘musulmani attaccano cristiani’ oppure ‘cristiani attaccano musulmani’, ma – spiega l’arcivescovo – il problema è essenzialmente economico ed etnico”. Sebbene la differenza di fede possa fornire carburante ad uno scontro di altra natura, allora, parlare di cristianofobia, in questo specifico caso, è sostanzialmente infondato. Così come, in tutt’altra parte del mondo, in Siria, il dibattito sulla persecuzione dei cristiani è stata al centro di un caso diplomatico che ha recentemente coinvolto anche il Vaticano. Iniziato sottotraccia con le dichiarazioni rilasciate dal sacerdote francese Philip Tournyol Clos, “Archimandrita greco-cattolico melchita”, sempre a Fides, che – va sottolineato – da quando è iniziata la crisi siriana ha dato voce a disparate voci del mondo cristiano locale. Ad ogni modo la testimonianza del francese, pubblicata il quattro giugno, è drammatica. A Homs “lo spettacolo per noi è la desolazione assoluta: la chiesa di Mar Elian è semi distrutta e quella di Nostra Signora della Pace è ancora occupato dai ribelli. Le case dei cristiani sono gravemente danneggiate dagli scontri e completamente svuotate dai loro abitanti, fuggiti senza prendere nulla. Tutti i cristiani (138.000) sono fuggiti a Damasco e in Libano, altri si sono rifugiati nelle campagne circostanti”. A fine giugno, però, alla Riunione delle Opere in Aiuto alle Chiese Orientali (Roaco) che si è svolta a Roma, “si è fatto presente – ha rivelato il blog Il mondo di Annibale – che indubbiamente in Siria si sono infiltrati elementi legati al fondamentalismo islamico e violenti, ma la stragrande maggioranza degli insorti non lo sono e dimostrano quotidianamente solidarietà e vicinanza alla popolazione cristiana”. Una presa di distanza alla quale ha dato voce anche il giornale cattolico francese La vie. Che, in una ricostruzione della figura di padre Philip Tournyol Clos, ricorda che si tratta di un ex lefebvirano e sottolinea, più in generale, “il legame tra cattolici di estrama destra e l’antisemitismo pro-iraniano”. La testata francese ha poi messo in luce l’esistenza di una “rete” di estrema destra ostile all’intervento militare in Siria che “non smette di agitare lo spettro delle persecuzioni anti-cristiane per convincere l’opinione pubblica occidentale che tutto sommato il dittatore Bachar Al-Assad è meglio di un regime islamista”. Mentre il nunzio apostolico in Siria, mons. Mario Zenari, era stato estremamente cauto in un’intervista a Radio vaticana del 13 giugno: “Non si sa quale sarà il futuro della Siria, delle varie etnie, e quale sarà il futuro dei cristiani. Occorre essere molto, molto vigili. Fino ad oggi direi che i cristiani condividono la triste sorte di tutti i cittadini siriani: sono sotto i bombardamenti come i loro concittadini siriani, in questi giorni, soprattutto ad Homs e altrove. Non direi che ci siano nei loro confronti delle discriminazioni particolari, tanto meno delle persecuzioni. Bisogna stare attenti e vedere i fatti nella loro verità. Andrei adagio a paragonare, oggi come oggi, la situazione dei cristiani ad altri Paesi dei dintorni. Alle volte si paragona con l’Iraq, ma non è da paragonarsi”. Ancora una volta, parlare di cristianofobia – in una situazione oggettivamente intricatissima – è, quanto meno, controverso.

E lanciare l’allarme di cristianofobia laddove questa non c’è, è doppiamente pericoloso. In un bell’articolo uscito di recente, il settimanale protestante Riforma ha scritto che “isolando il tema delle persecuzioni contro i cristiani dal contesto più globale dell’intolleranza religiosa che si registra in troppo parti del mondo e che talvolta vede proprio dei cristiani come attori e non come vittime, si finisce infatti per assecondare un paradigma che contrappone comunità a comunità, tradizione a tradizione, cultura a cultura, religione a religione. Il risultato, magari inconsapevole perché talvolta originato da ottime intenzioni, è la resurrezione dello spirito di quello scontro di civiltà che tanto ha nuociuto alle relazioni tra le grandi comunità di fede e alla coesione sociale interna alle società pluraliste. Non dovrebbe essere difficile riconoscere che, a fianco di esempi di intolleranza subiti da cristiani, se ne possono addurre altri invece agiti da cristiani: in Grecia, in Ungheria o in Russia, per fare esempi a noi vicini, le norme che ledono la libertà religiosa di alcune minoranze sono volute e difese nel nome della tradizione cristiana, e poco male se finiscono per limitare la libera espressione, tra le altre, di minoranze anch’esse cristiane”. La via per combattere intransigenza e discriminazioni religiose, allora, non è contrapporre tra loro cristianofobia, islamofobia e antisemitismo, ma combatterle assieme nel nome di un unico principio di rispetto e pluralismo religioso. Tanto più – ed è il secondo motivo per evitare facili allarmismi – che alcuni gruppi politici che perseguitano i cristiani in Africa, in Medio Oriente o in Asia lo fanno per una malintesa identificazione tra cristianesimo e occidente, utilizzando sciagurate ideologie islamiste, e facendo affidamento sulla risonanza mediatica che in occidente ha il tema della cristianofobia. Un tema troppo serio per cavalcarlo ideologicamente.

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