Città invisibiliRoma, meglio salvaguardare l’esistente che scavare ancora

A Roma la mobilità, sia quella pubblica che quella privata, è in grande “movimento”. I cantieri estivi fervono. Mentre Lega ambiente ha avviato una raccolta firme per chiedere al Campidoglio la ped...

A Roma la mobilità, sia quella pubblica che quella privata, è in grande “movimento”. I cantieri estivi fervono. Mentre Lega ambiente ha avviato una raccolta firme per chiedere al Campidoglio la pedonalizzazione di via dei Fori imperiali fino all’altezza del Colosseo, i lavori per il prolungamento fino a Piazza Venezia della linea 8 del tram hanno già fatto “saltare” il capolinea di fronte al Teatro Argentina e retrocesso la fermata in Piazza Cairoli. Disagi anche per gli utenti della linea A della metropolitana. Dall’11 agosto niente più trenini ma autobus sostitutivi per i lavori di “ammodernamento”, soprattutto sul ponte Pietro Nenni che attraversa il Tevere.
Tra gli interventi previsti, ciascuno con un addentellato più o meno diretto al patrimonio archeologico romano, una particolare attenzione ha suscitato quello in Piazza di Torre Argentina. Alcuni giorni fa dalle colonne del Corriere della Sera in un editoriale sull’edizione romana, Andrea Carandini, ex presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, già plenipotenziario professore di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana all’Università di Roma La Sapienza, si è soffermato sulla notizia, sollevando una questione. Intravvedendo in quei lavori infrastrutturali l’occasione, non colta, di scavare l’area. Di riportare in luce, proprio al di sotto della strada sulla quale passa il tram, “il salone dove nel 44 a. C. si riuniva il senato e dove il 15 marzo fu ucciso Cesare”. Non solo. Al centro della piazza parte dell’ antico Campo Marzio con “il portico dove la plebe ritirava il grano”. E, ancora, la Curia, della quale, ai limiti dell’area archeologica di fronte alla fermata del tram incriminato, sono appena visibili parte del muro e una nicchia del salone in cui era alloggiata la statua di Pompeo, ai piedi della quale cadde Cesare.
Il curatore del recente Atlante di Roma ricorda i progetti, irrealizzati, per rendere quelle rovine raggiungibili e comprensibili. Soprattutto si duole che anche in questa circostanza non se ne farà nulla. Sottolineando come “resterebbero da scavare 1740 metri quadrati”. Aggiungendo come, a seguito dell’indagine “si potrebbe accedere, dietro ai templi, al salone dello straordinario evento”. Carandini conclude che “Un Paese civile si precipiterebbe…”. Ha certamente ragione. Ma in un Paese che ha realmente a cuore il suo Patrimonio storico-artistico-archeologico molte sono le cose alle quali si dovrebbe provvedere. Con la celerità necessaria, richiesta dalla rilevanza del soggetto interessato. Ma così non é. Non solo a Roma o a Pompei. Ma anche a Paestum (area archeologica e necropoli del Gaudo), a Volterra (teatro e anfiteatro), a Cerveteri (necropoli), a Torre Annunziata (Oplontis, villa di Poppea), a Canne della battaglia (area archeologica), a Falerone (area archeologica). Come ad Otricoli (area archeologica) e a Nemi (santuario di Diana). Come in troppi siti, piccoli e grandi, del Paese.
Più realisticamente, bisogna fare i conti con lo status quo. Consapevolmente rendersi conto che risulta già estremamente difficoltoso, spesso proibitivo, provvedere alla tutela di quel che è visibile. Osservare lo stato di conservazione, precario, e la rudimentale musealizzazione all’aperto di molti siti archeologici. Non di rado perfino privi di una pannellistica che ne fornisca le notizie fondamentali. Come avviene, ad esempio, al tempio di Ercole e a quello di Portunus, a due passi dalla Bocca della Verità. Verificare come appaia al visitatore proprio l’area archeologica di Torre Argentina per la quale Carandini propone l’ “allargamento”. Senza contare i costi che una tale operazione comporterebbe. Altissimi, anche considerando la stratificazione esistente, il procedere, necessariamente, lento delle indagini di scavo. La documentazione non accetta alcuna deroga. Qualora si decidesse di intraprendere lo scavo di un’area così importante per la comprensione della topografia di uno spazio centrale dell’antica Roma, sarebbe necessario procedere con pazienza e attenzione. Anche considerando che lo scavo é un’operazione distruttiva, come correttamente sosteneva Carandini nel suo Storie dalla terra. Manuale dello scavo archeologico (De Donato 1981). Una volta compiuta, si è realizzata l’eliminazione di una porzione di Storia. La vicenda degli scavi dei fori della Pace e di Traiano ai lati di via dei Fori Imperiali in occasione del Giubileo del 2000 dovrebbe suggerire azioni più prudenti. Lasciare alle generazioni future delle quali tanto si parla la possibilità di indagare dove finora si è deciso di non “fare”. Affidare a tempi più propizi operazioni che al momento sarebbero azzardate. Se non nei modi, almeno negli intenti, non molto dissimili dai “cavatori” che dalla seconda metà del Seicento sterrarono siti o semplici monumenti per riportarne in luce le architetture e gli oggetti di maggior pregio.
Ora è necessario che, responsabilmente, chi ha il compito di indirizzare le scelte, di suggerire azioni, faccia i conti con il presente. Dove a volte ciò che si vorrebbe o dovrebbe non coincide con ciò che realmente si può. Ben sapendo che l’archeologia non è (o, piuttosto, dovrebbe essere) un divertissement. Che alla fase un po’ “romantica” dello scavo, deve seguire, sempre, quella, più difficile, della tutela e valorizzazione di quanto scoperto.

X