Il funzionamento di Airbnb.com è semplice. Chi cerca una sistemazione da qualche parte per un breve periodo, cerca tra gli annunci di chi mette a disposizione una o più stanze nella sua casa, vedendo le foto, ubicazioni sulla mappa, e trovando subito i servizi disponibili. Contatta l’host e se vuole prenotare lo fa attraverso il sito: il pagamento avviene attraverso l’azienda, solo se nel giorno di check-in il guest non ha lamentele e gli va tutto liscio, e al costo di una commissione Airbnb garantisce un servizio di emergenza in caso di “no show” o di altre situazioni problematiche, oltre all’assicurazione che tutela la proprietà messa in affitto. Per il resto, tutto funziona con il sistema della reputazione: host e guest, alla fine del soggiorno, possono lasciare un giudizio sulla loro controparte, così che per ogni proprietà e per ogni ospite siano disponibili valutazioni certe, e si sappia che cosa ci si può aspettare.
Si tratta di un sistema che si è sviluppato nel tempo, anche a seguito di alcuni casi piuttosto gravi di vandalismo, ma che ora sembra ben rodato. Talmente rodato che io, ormai, lo uso da due anni per quegli spostamenti di durata media (dalle due settimane ai due mesi), in cui risiedere in albergo è troppo costoso, ma prendere in affitto una stanza o un appartamento coi canali tradizionali è difficile. In generale, il risparmio è notevole: sono stato in una bella stanza privata per un mese a Manhattan, a 5 isolati dal Grand Central Terminal (in pratica, al centro dell’universo), per meno di 1500 dollari, a un prezzo inferiore a quello offerto per un posto letto in un dorm dall’ostello della gioventù di Amsterdam Avenue; sono stato in zona Yankee Stadium per 40 dollari a notte; ora mi appresto a usare questa soluzione anche in Italia, per andare a Roma (a quattro fermate di metro dal centro) a 200 euro la settimana, meno della metà di quanto spenderei nel peggior albergo della zona. Il trattamento e i servizi forse non sono proprio quelli di un albergo (anche se a volte è così), ma il risparmio invita ad avere un minimo di spirito di adattamento.
Già, in Italia. Nel 2011, il numero di transazioni su Airbnb che ha coinvolto almeno un italiano è cresciuto, rispetto al 2010, del 943%: siamo il paese del mondo in cui il servizio vive la crescita più impetuosa, tanto che l’azienda sta cercando di assumere personale italiano per far fronte alle necessità determinate dal volume d’affari. Effetto della crisi, che mai come in questo caso dimostra il vecchio adagio degli storici economici per cui “non è mai crisi per tutti”: in un momento di ristrettezze, chi riesce a offrire l’essenza di un servizio, senza badare ai fronzoli, a un buon prezzo, ha scoperto la via per arricchirsi. Effetto di una “rivoluzione culturale” negli spostamenti, che qui in Europa sta facendo un passo avanti: dopo che Ryanair ha garantito a tutti la possibilità di volare a due lire, ora Airbnb ci garantisce la possibilità di pernottare dove vogliamo in modo sicuro ed economico, mettendo un altro tassello in quell’edificazione della “nazione-Europa” che si farà soprattutto abbattendo le distanze e le barriere spaziali. Effetto anche di un sistema dei prezzi alberghieri che in Italia è fuori controllo: a Latina e a Santa Maria Capua Vetere si spende, per pernottare, più che a Berlino centro e a Las Vegas.
Ma proprio come è stato per Ryanair, la crescita di Airbnb porrà dei problemi, che probabilmente saranno anche più gravi. Il rapporto di ospitalità che il sito promuove è del tutto informale, il pagamento è incontrollabile, e viene fatto all’azienda, che poi rilascia all’host i soldi in altra forma, in due parole non è previsto che chi mette in affitto così una camera poi paghi le tasse su quello che, a tutti gli effetti, è un reddito da lavoro (ospitare in una stanza in buone condizioni richiede impegno) o quantomeno da “prestazione occasionale”. Il passo verso la concorrenza sleale verso gli albergatori è breve, e sicuramente Federalberghi o chi per lei non potranno restare inerti per troppo tempo.
A quel punto, in un paese civile si prenderebbe sì coscienza del problema, ma si terrebbe conto anche dell’enorme servizio che Airbnb fa a tutti i consumatori rendendo più fluido l’incontro tra domanda e offerta e quindi ribassando i prezzi, e si penserebbe che, se una minoranza si sente danneggiata da un fenomeno di cui beneficia tutto il resto della popolazione, evidentemente è quella minoranza ad essere fuori dal tempo. Si cercherebbe, è ovvio, di estrarre dai guadagni fatti con questi affitti il giusto contributo fiscale, ma non si penserebbe certo di poter mettere sotto controllo ogni singola transazione, in un ambiente in cui basta un tacito accordo tra le parti contraenti per fare uno scambio “in nero” senza infrangere in modo evidente nessuna legge che non sia costituita ad hoc. Si deciderebbe quindi di tenere conto del fatto che, nel calcolo del reddito presunto di una proprietà immobiliare, occorre aggiungere questa possibilità di affitto parziale (naturalmente normalizzata sulla base di quanto una ubicazione è “appetibile”), e si cercherebbe, almeno come punto di partenza una soluzione semplice e facilmente controllabile. E la soluzione possibile potrebbe essere mutuata dalla proposta di Luigi Einaudi per la promozione di un libero mercato delle proprietà terriere senza espropri negli anni Cinquanta: ogni provincia avrebbe dovuto stabilire il reddito medio per unità di superficie agricola, e ogni fondo sarebbe stato tassato in base a quella rendita presunta, non a quella reale, così che gli appezzamenti meno produttivi sarebbero stati venduti, per semplice calcolo di convenienza, a chi poteva farli fruttare meglio, e avrebbe giustamente ben guadagnato dal suo duro lavoro. E ci si accorgerebbe, infine, che un embrione di strumento per un’operazione del genere (ovviamente da rivedere e da riaddatare con attenzione alla nuova funzione e ai nuovi introiti necessari) esiste già, ed è l’IMU, dispositivo fiscale che si è dimostrato assai più efficiente di quanto si temesse, e che garantisce di trattare la casa per quello che è, ovvero un patrimonio, un investimento che è bene saper fare fruttare oppure vendere/cedere in affitto per utilizzare il valore in modo più appropriato.
Questa serie di decisioni farebbe fare al fortunato paese in grado di portarle avanti un importante passo verso la modernità nel rapporto tra Fisco e contribuenti, nello stimolo al libero mercato dei beni immobili, nella tutela dei consumatori, finanche nella messa in soffitta delle storie strappalacrime sulla sacralità della casa di proprietà, che non hanno alcun reale valore al di fuori del campo sentimentale, ma che hanno costretto tantissime persone che avrebbero potuto vivere meglio in affitto a incatenarsi a una proprietà di cui non avevano bisogno semplicemente perché comprare una casa era inspiegabilmente troppo più conveniente che affittarla e farne l’uso che si conviene in una società che (giustamente) si spinge a essere sempre più flessibile e propensa al cambiamento.
Ma quello sarebbe un paese civile. Noi siamo in Italia. E la vicenda del trasporto aereo, anche recentemente col caso Windjet, ci dà l’idea di cosa invece è probabile che succeda. L’associazione che tutela la corporazione degli albergatori inizierà a dire che è uno scandalo che i clienti possano avere servizi simili spendendo così poco, e che serve una legge che tuteli adeguatamente le rendite di posizione di chi fa pagare di più; diranno che se il mondo ha creato una innovazione che con la sua potenza stravolge i comportamenti collettivi, non sono loro a dover cambiare di conseguenza, ma sono i comportamenti collettivi a dover essere bloccati per legge; useranno i dipendenti degli alberghi come ostaggi, senza notare che un paese dove i prezzi sono più accessibili produce meglio i suoi servizi, cresce di più e quindi creerà più facilmente posti di lavoro per chi li ha persi perché parte di una filiera inefficiente, con la differenza che stavolta quei posti di lavoro saranno decisamente più solidi e non avranno bisogno di protezioni artificiali per resistere; chiederanno che diventino obblighi di legge anche per l’ospitalità in case private alcuni servizi e alcune garanzie che fino a due giorni prima non erano ritenuti necessari, fregandosene del fatto che in un paese libero il pubblico può anche consapevolmente scegliere di rinunciarvi, se sa a cosa va incontro. In questo caso, tra l’altro, per evitare di rendere invivibile la situazione le forze dell’ordine dovranno sistematicamente chiudere un occhio sull’ottemperanza a queste regole ogni volta che, per dire, io ospiterò a Pisa mia sorella per un week end; oppure occorrerà riscrivere la legge con eccezioni e note alle eccezioni, fino ad arrivare a un groviglio in cui “a saperle ben maneggiare, nessuno è reo, e nessuno è innocente”, e sarà solo il peso dei gruppi di pressione meglio organizzati a decidere quando una norma è applicata e quando no.
A perderci saremo come sempre tutti noi, ma quando le conseguenze di questo atteggiamento arriveranno, potremo sempre dare la colpa ai tedeschi, alle banche e ai poteri forti.