E’ interessante analizzare la retorica dei nuovi movimenti populisti come il 5 Stelle di Beppe Grillo.
Spesso viene richiamata l’analogia con il “Fronte dell’Uomo Qualunque” di Guglielmo Giannini per le connotazioni antipolitiche, da cui Grillo prende anche alcuni espedienti, come la storpiatura dei nomi dei personaggi oggetto della sua critica.
Ma esistono anche altri elementi. La polemica contro i partiti esistenti assume un carattere che per certi aspetti ricorda quello della stagione di Tangentopoli, secondo una netta contrapposizione di “vecchio” e “nuovo”, per cui i soggetti politici esistenti sarebbero dei “morti che camminano”, esponenti di un ordine superato, che aspetta solo di essere “spazzato via” dall’indignazione dei cittadini (addirittura tramite “giurie popolari” e annessi processi sommari).
Grillo svolge questa prospettiva di critica dell’esistente alla luce di una prospettiva di rinnovamento totale, che si espliciterebbe in una “democrazia digitale”. L’avvento della rete rivoluzionerebbe il rapporto tra governanti e governati, abolirebbe qualunque forma di mediazione politica e permetterebbe ai cittadini di avere un rapporto diretto con le istituzioni, in una sorta di ideale democrazia totale in cui i cittadini si autogovernerebbero attraverso la rete. La “vecchia politica” che non ha compreso questo ineluttabile destino andrebbe incontro a un’ineluttabile superamento.
Innanzitutto è segno di arretratezza culturale il sorprendente ritardo (20 anni dopo la creazione di Internet, 12 dopo lo scoppio della bolla dot-com e delle grandi speranze riposte nelle new economy, 9 anni dopo l’invenzione di Facebook) con cui si “scopre” un presunto valore rivoluzionario della rete.
Ma quello che conta di più notare è che il modulo retorico di questo “rinnovamento totale” è quanto di più vecchio esista al mondo. Si tratta di una retorica che potremmo definire “messianismo”. Si prevede l’avvento di qualcosa che rivoluzionerà completamente l’esistente, che creerà un “nuovo mondo” a cui soltanto gli “eletti” potranno accedere o avere una posizione privilegiata, mentre chi non si è “convertito” in tempo al nuovo Dio sarà irrimediabilmente dannato.
“Nulla sarà più come prima”, “il nuovo sta avanzato e spazzerà via tutto”, non c’è niente di più vecchio, ripetitivo e conservatore dell’armamentario retorico del rinnovamento messianico.
Visto il valore salvifico della “rivoluzione” non sono necessarie noiose discussioni su argomenti come la “democrazia interna”, sulle “procedure di decisione”. La sola appartenenza al movimento è sufficiente a garantire di essere parte dell’attesa palingenesi. Chi solleva dubbi è evidentemente un infiltrato, un agente provocatore del vecchio e corrotto sistema dei partiti, che vuole dividere gli eletti e come tale deve essere epurato. Per questo rifiuto di ogni forma esplicita di organizzazione, al messianismo informatico si aggiunge uno spontaneismo venato di anarchismo.
Ma da questa impostazione emergono le stesse contraddizioni che sempre si osservano in movimenti simili. Dato che la realtà è evidentemente più complessa e in ogni movimento collettivo sono necessarie procedure di decisione, se queste non sono esplicitamente formalizzate, si creano in maniera occulta. Si comprendono allora i dubbi che tanti osservatori nutrono sulla posizione di Casaleggio all’interno del Movimento e dell’ambigua posizione di Grillo, formalmente semplice “megafono” del Movimento e in realtà proprietario del simbolo dotato della facoltà di “epurazione” dei dissidenti.
In generale si compie nuovamente lo stesso errore che si fece all’altezza del passaggio alla Seconda Repubblica. Anche lì si condannarono tutte le forme della mediazione politica, considerandole come forme sporche di intrallazzo e malaffare e si cercò di impostare un rapporto diretto tra “volontà dell’elettore” e “azione di governo”. Ma questo doveva semplicemente causare l’ulteriore occultamento di tali mediazioni e il loro pervasivo e totale spostamento in una sfera oscura, confinante con il malaffare.
Non riconoscere alla politica, al suo linguaggio, ai suoi rituali, ai suoi ideali, ai suoi necessari compromessi lo spazio necessario porta non alla costruzione di una democrazia ideale, ma al totale scadimento della qualità della politica.
C’è da notare che lo stesso problema si ripropone sullo stesso terreno informatico. Intendiamoci, Internet può essere uno straordinario strumento di partecipazione, ma, appunto, uno strumento. Internet è esso stesso una forma di mediazione. Anzi, molte forme. Un forum, una chat, Facebook, una piattaforma di contribuzione collettiva (come Wikipedia) sono altrettanti ambienti, altrettanti linguaggi caratterizzati da regole precise, implicite ed esplicite, da relazioni di potere, da censure, divieti, codici di comportamento. E queste regole non sono affatto decise democraticamente. Non solo, si svolgono su piattaforme che sono in molti casi di proprietà privata.
Credere che le “modalità” della partecipazione online non influenzino la partecipazione stessa, credere che questo terreno sia esente dai conflitti e dalla aporie che caratterizzano il “mondo reale” è un’idea che può essere dettata solo da ingenuità o malafede.
Internet è uno strumento, potente e significativo, che cambia alcune modalità di interazione in virtù della sua legalità intrinseca. Ma, come tutti gli strumenti riproduce al proprio interno, nelle forme sue proprie, le stesse identiche dinamiche che si hanno in ogni associazione umana. Da questo punto di vista è molto istruttivo osservare le contraddizioni che esplodono dentro al movimento grillino, che rispecchiano altrettanti nodi irrisolti, che la vaghezza e l’utopismo della dottrina lasciano indecisi. La domanda è quella classica di ogni dottrina politica: chi decide, in ultima istanza? Certo, può darsi che ci sia accordo, sopratutto nella fase iniziale, nello statu nascendi, dove la promessa del successo porta a tenere sotto traccia i conflitti. Ma prima o poi sorgono controversie. E allora, chi prevale? Grillo, i candidati del movimento, l’assemblea virtuale dei cittadini?
Non essendovi alcuna regola per decidere su questi problemi, che sono anzi dichiarati illegittimi e propri del cattivo “politicismo” dei partiti, la decisione su di essi viene, in ultima analisi, lasciata all’arbitrio.
Se ciò riguardasse solo le contraddizioni di un movimento, di un’associazione privata si potrebbe evitare di curarsene. Ma la dottrina grillina presenta estremi pericoli se prevalesse a livello statuale. Essa contiene principi pericolosissimi, come quello della disintermediazione. Sono pericolosissimi proprio perchè inattuabili. Se si rifiutano le mediazioni esplicite, allora sorgono mediazioni occulte.
E così l’auspicata trasparenza si trasforma nel suo contrario.
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