Papale papaleI tecnici amano molto De Gasperi (anche per dimenticare Ruini)

Intellettuale, europeista, prima di diventare presidente del Consiglio Alcide De Gasperi lavorava nella Biblioteca apostolica vaticana. Un professore insomma, un “tecnico” si direbbe oggi. Tanto ca...

Intellettuale, europeista, prima di diventare presidente del Consiglio Alcide De Gasperi lavorava nella Biblioteca apostolica vaticana. Un professore insomma, un “tecnico” si direbbe oggi. Tanto cattolico quanto autonomo dalle gerarchie ecclesiastiche. Forse è per questo che, al tempo dei “tecnici” al governo, la sua figura viene ricordata, in questi giorni in cui cade il cinquantesimo anniversario della sua scomparsa (19 agosto 1954), come una promessa per il futuro più che come un’ombra del passato. Gianfranco Fini va a Pieve Tesino per commemorarlo. Pier Ferdinando Casini ne tesse le lodi sul Corriere della sera, associandone in qualche modo la figura a quella di Mario Monti. Il premier in persona lo cita quando ricorda che la differenza tra un politico e uno statista (sottinteso: se stesso) è quella di guardare alle prossime generazioni e non alle prossime elezioni. E, domenica, a Trento – città lontana da Todi politicamente più ancora che geograficamente – a ricordare il leader democristiano di origini austro-ungariche, si riuniscono Lorenzo Dellai, un presente come presidente di provincia e un futuro nella politica romana, il segretario della Cisl Andrea Bonanni, il presidente delle Acli Andrea Olivero e il ministro Andrea Riccardi. Intellettuale, europeista, fondatore della comunità di Sant’Egidio. Un professore cattolico, insomma, che per ora si tiene lontano dalla costruzione di una futura “cosa bianca”, ma un domani, chissà, se fosse invocato potrebbe continuare la sua carriera politica come fece Alcide De Gasperi.

Quel che è certo, già ora, è che Riccardi, e come lui altri “tecnici”– Renato Balduzzi, Piero Giarda, Paola Severino – hanno rivoluzionato in pochi mesi un immagine assodata di cattolici impegnati in politica. Più fondamentalmente, è lo stesso Mario Monti – catto-borghese ambrosiano, alunno dell’istituto Leone XIII dei gesuiti, tutte le domeniche a messa senza sbandierarlo, un cordialissimo rapporto personale con Benedetto XVI – ad aver smantellato in un baleno un’inveterata idea politica che per tutti questi anni ha avuto un nome e un cognome: Camillo Ruini.

L’ex presidente della Cei ha tessuto la sua tela con tale efficacia da far sembrare le sue idee, nelle aule parlamentari come nel discorso comune, un’evidenza senza alternative. Ma così non era. Il ruinismo si basava su tre assiomi. Primo, il cattolicesimo in Italia è ancora popolare, diffuso capillarmente, culturale, e i vertici della Chiesa pretendono, per questo, che la politica ne segua le indicazioni. Secondo, ci sono in particolare alcuni punti programmatici – i cosiddetti “valori non negoziabili” come la difesa della vita in ogni sua fase e quella del matrimonio eterosessuale – che, appunto, la Chiesa non può accettare di negoziare. Terzo, tutti i partiti presenti in Parlamento devono essere “impollinati” da una componente cattolica che su questi punti bloccano ogni compromesso. Un lucido impianto strategico che coinvolgeva il Pd di Walter Veltroni ma aveva nell’avventura politica di Silvio Berlusconi e nella sua maggioranza di centro-destra un pendant naturale. Questi tre assiomi, però, si sono assottigliati, se non dissolti, nell’era Monti. Berlusconi si è ritirato, almeno per un po’, il Pd di Bersani tutela i diritti delle coppie gay, almeno un po’, e, molti cattolici, sfidando le ironie di chi preconizza la balena bianca tramutata in sardina bianca, ragionano da mesi se dare vita o meno ad un partito (o un movimento pre-politico, o comunque una “cosa”) di ispirazione cristiana. Più in generale, un sondaggio realizzato all’inizio di vita del governo Monti dall’istituto Ipsos per le Acli e l’istituto Grandi mostrava che l’astensione dei cattolici praticanti era aumentata e raggiungeva il 48,7%, con una crescita del 6,3% rispetto alla precedente rilevazione (febbraio 2011). Altro che l’egemonia culturale di ruiniana memoria. Quanto ai valori non negoziabili, lo stesso sondaggio registrava la sempre più diffusa opinione che “la politica sia laica ed eserciti una sintesi tra le diverse posizioni culturali e tra i diversi valori”. Addio family day, addio campagna astensionistica al referendum sulla procreazione medicalmente assistita, addio al motto ruiniano “meglio contestati che irrilevanti”. Infine, la fede cattolica diffusa capillarmente: nel rapporto sulle religioni italiane recentemente pubblicato da Paolo Naso e Brunetto Salvarani (“Un cantiere senza progetto”, Emi), il sociologo Enzo Pace tratteggia la figura, sempre più diffusa in Italia, del “credente autonomo”: “Egli si è modernamente messo in proprio in campo morale. Si sente rassicurato nel definirsi ancora oggi cattolico, ci tiene alla propria identità culturale religiosa, ma ritiene di non dover osservare per filo e per segno ciò che la chiesa insegna in campo morale. Tra morale e religione di è creato un divorzio, per la forza stessa del pluralismo che si è imposto nella nostra società. Alcuni aspetti del mondo della vita sono diventati modernamente province autonome del sentire (prima ancora che del pensare); in esse gli individui tendono ad agire come se la chiesa non ci fosse”. Più che una riconquista tramite la strategia politica, la chiesa cattolica sembra sfidata anche nel nostro paese ad una nuova evangelizzazione. Più che mantenere posizioni, reinventare la propria presenza sociale. Più che Camillo Ruini, Alcide De Gasperi.

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