La vicenda del conflitto di attribuzione sollevato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione del caso delle intercettazioni telefoniche di Nicola Mancino e del presidente stesso in relazione all’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-Mafia ha fatto deflagare un conflitto politico già da tempo presente.
Si sono formati due grandi schieramenti: uno a difesa delle istituzioni e delle prerogative del presidente della Repubblica e l’altro fortemente critico nei suoi confronti. Sul primo versante si sono collocati il PD, SEL, mentre sul secondo il Movimento 5 Stelle di Grillo e l’IDV. Anche sul fronte giornalistico vi è stata una significativa contrapposizione, con Repubblica spaccata tra le posizioni di Eugenio Scalfari ed Ezio Mauro da un lato e di Gustavo Zagrebelskij dall’altro, schierato al fianco del Fatto Quotidiano.
La vicenda presenta una grande complessità, per la quantità di nodi che convergono in essa. Qui però vorrei concentrarmi sopratutto sull’aspetto politico -ambivalente- della vicenda.
Da un lato è senza dubbio positivo, come sostiene anche Peppino Caldarola sulle pagine di Linkiesta, che venga in chiaro e alla luce un grande equivoco di questi anni, che hanno visto un matrimonio politico e un’identificazione pressochè totale tra ciò che chiamiamo “sinistra” e determinate posizioni giustizialiste. A parere di chi scrive le posizioni sostenute dal Fatto di Travaglio (che peraltro ha sempre dichiarato di essere di destra) con la sinistra hanno pochissimo a che fare. La critica al giustizialismo da sinistra non va chiaramente confusa con l’avversione di destra per la magistratura. Se è giusto stigmatizzare determinati eccessi di protagonismo che alcuni magistrati possono avere avuto in passato e il collegamento perverso tra magistratura e stampa, instauratisi nella stagione di Tangentopoli e che ha operato in maniera estremamente dannosa per tutta la seconda Repubblica, questo non deve sconfinare nell’idea che la magistratura debba essere subordinata al potere politico. Il punto è criticare la magistratura quando essa pretende di assumere, con dichiarazioni proprie o a mezzo di organi di stampa vicini o simpatizzanti, un ruolo direttamente politico, occupando un campo che non le spetta. Se l’autonomia della magistratura è sacrosanta, altrettanto dev’essere recuperata e restaurata un’autonomia della politica dalla magistratura che negli ultimi due decenni è spesso stata lesa.
Detto questo, c’è una questione più propriamente politica, un effetto indesiderato che questo dibattito potrebbe portare, giudicabile in maniera molto negativa da chi ha una certa idea della sinistra e ne ha a cuore le sorti.
Il rischio è che si confonda il discorso su una certa cultura istituzionale e sul rispetto per i principi dello stato di diritto con la valutazione politica dell’operato di Napolitano e del governo Monti da esso così fortemente sostenuto.
Sul secondo punto le linee di confine divergono rispetto a quelle relative al primo e una forte contrapposizione potrebbe portare a un appiattimento del dibattito estremamente dannoso.
Esiste infatti una parte importante del Partito Democratico, sia tra la base che tra i dirigenti che valuta con diverse cautele e perplessità l’esperienza del governo Monti. La discussione non è se la formazione del governo Monti dopo la caduta di Berlusconi fosse necessaria o opportuna. Su questo c’è accordo. La discussione è sull’opportunità che il prossimo governo, qualora questo si incentrerà sul Partito Democratico, si ponga in esplicita continuità con le politiche del governo Monti, o non piuttosto circoscriva l’operato di quest’ultimo in una logica emergenziale valutando invece con riserva la sua impostazione generale e la sua filosofia economica. Questa area della sinistra critica la lettura della crisi tedesca, fatta in larga parte propria (pur con correttivi e progressive attenuazioni) dal governo Monti, come inadeguata a comprendere gli eventi e ispiratrice di politiche economiche che, tenuto conto della congiuntura in cui sono effettuate e del fatto che sono promosse in più paesi contemporaneamente, possono essere persino dannose. Si tratta di un punto di vista che gode del sostegno di autorevoli economisti a livello internazionale e che trova una corrispondenza, seppure parziale e non unanime, anche nelle idee di altri partiti di sinistra europei. Si tratta dunque di una posizione politica che va discussa con la massima serietà e senza che se ne diano raffigurazioni caricaturali. Anche Vendola si ritrova in una prospettiva affine e sono queste le idee messe al centro dell’accordo politico tra il PD e SEL.
Ora, il tema della critica al governo Monti, pur con accenti diversi, trova consensi anche all’interno dell’area che fa riferimento all’IDV e nel bacino dei lettori del Fatto Quotidiano (non a caso Luca Telese ha rotto col direttore del giornale, accusato di una deriva filogrillina, fondando la nuova testata Pubblico, che mette al centro proprio queste tematiche). Ora, se nei confronti del Movimento 5 Stelle può essere condivisibile un tono di critica dura, anche con i toni usati da Bersani, in quanto i temi agitati da Grillo sono pericolosi e demagogici ed è difficile darne un giudizio anche vagamente positivo (pulsioni antidemocratiche, xenofobia ecc.) nei confronti dell’area che insise sui temi della legalità sarebbe bene mantenere un dialogo.
Se è vero, come è vero, che per anni la sinistra e i giornali come Repubblica hanno cavalcato certi sentimenti populisti, non si può cambiare il sentire degli elettori dall’oggi al domani con un “Contrordine compagni!”.
Se è dunque perfettamente comprensibile che gli esponenti del PD e la parte di Repubblica più vicini a una linea filomontiana cerchino di mettere assieme questione istituzionale e questione politica, è invece interesse di una sinistra (che, come tale, non si identifica tout-court in nessun partito) che ha a cuore al massimo grado i temi sociali e pensa che la possibilità di affrontare questi temi sociali sia legata in modo decisivo all’impostazione con cui si affronterà la crisi dell’euro, di separare con attenzione le due questioni impedendo che si crei la falsa opposizione di un centro(-sinistra) del tutto appiattito sulle posizioni del governo tecnico e di una presunta sinistra ribellista e giustizialista che, assieme alle politiche economiche del governo, critica l’intero assetto dello stato di diritto, visto come irrimedialmente corrotto, asservito al regime partitocratico e legato a doppio filo alla criminalità organizzata.
Questo esito, radicalizzando le rispettive posizioni, creando un moderatismo di governo e un fronte di generica rivolta (che potrebbe non fermarsi nelle piazze e nei social network ma passare poi ad altri mezzi), che a sua volta giustificherebbe e legittimerebbe un appiattimento sulle posizioni politiche dei partiti “istituzionali”, sarebbe oggettivamente di destra e reazionario nel senso peggiore, chiudendo la grande possibilità storica di una sinistra di governo che, agendo nel momento della crisi e del cambiamento, possa chiudere per davvero la seconda Repubblica e porre le condizioni per una lunga stagione di crescita economica ed equità sociale.
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