Probabilmente, se invece di un paio di bionde seminude fossero stati dei ragazzotti incappucciati al grido di Allah Akhbar, la cosa sarebbe stata diversa. Ma forse, visto l’appiattimento mediatico internazionale, anche no.
A Kiev le Femen hanno segato una croce a due passi dalla Maidan. Segato una croce. Una croce alta un paio di metri. Lo hanno fatto per solidarietà con le Pussy Riot.
Applausi da mezzo mondo.
Ma quanto é malato un sistema sociale-mediatico che corre appresso alle tette al vento e segue l’odore di gnocca in maniera così acritica?
Non solo in Russia, ma in tutti i Paesi d’Occidente, é reato offendere i sentimenti religiosi altrui, danneggiare e dissacrare cose e luoghi destinati al culto. Entrare in chiesa interrompendo un rito, insultare il patriarca dandogli del cane, ballare sull’altare, offendere i fedeli, é punito dalla legge. In Italia si rischiano sino a tre anni, altrettanti in Germania. Non mi dilungo su quella che é la realtà nei paesi islamici, ben peggiore.
I pussyriottisti della domenica potrebbero provare a entrare in una moschea e protestare per il caso della bambina down arrestata per blasfemia.
A Colonia emuli delle fanciulle moscovite hanno scorrazzato incappucciati per il duomo e ora rischiano di fare la fine di quel signore che nel 2006 a Erfurt é stato condannato a 9 mesi senza la condizionale (perchè pregiudicato) per aver interrotto la messa ufficiale nell’anniversario dell’unità tedesca.
Inna Shevchenko, che ha segato la croce a Kiev, rischia 4 anni. Da mesi con sua sorella e le altre amazzoni ucraine é inseguita dalla stampa internazionale non certo per la profondità del suo pensiero.
Segare una croce é reato. Non é libertá di espressione. A 22 anni é lecito combinare cazzate, ma si deve essere anche consapevoli delle conseguenze.
Nadia Tolokonnikova delle Pussy Riot ha la stessa età della Shevchenko, anche se la differenza di classe é enorme: forse perchè ha iniziato a fare orge artistico-politiche a 18 anni, già incita del bambino che ora dopo la condanna non vedrá per almeno due anni.Visto il soggetto e i sorrisi con cui ha accolto venerdí scorso la sentenza non deve certo stupire il fatto che Pussy Riot diventi un marchio registrato.
Perché non tutta l’arte é fine a se stessa.