Messina e le sue spiagge strette, lungo la linea lunga della costa, hanno assaporato il gusto della celebrità. Illudendosi per un breve periodo di somigliare un po’ a Miami. Dopo l’occasione mancata, nelle fasi successive al tragico terremoto del 1908, quando il sogno di una ricostruzione ordinata produsse soltanto la Palazzata, l’edificio della Fiera e la stazione marittima di Angelo Mazzoni, la città negli anni Cinquanta visse una stagione di nuove speranze. Quelle di dilatare il piano urbano verso il confine del mare. Trasformando la città-giardino in un centro urbano che sapesse utilizzare le proprie risorse naturali. Facendo delle spiagge il fulcro di un’attività turistica florida, alla quale legare una serie di iniziative estive di intrattenimento. Come l’Agosto messinese, ma anche, come la Rassegna del Cinema. E’ questo il momento nel quale maturarono progetti per uno sfruttamento organico del litorale che trasformassero la vecchia città in un centro balneare.
Al posto degli stabilimenti in legno impiantati sulla costa negli anni Trenta, due imprenditori locali, legati all’industria della costruzione navale e dei sistemi di navigazione, Alberto Costa e Leopoldo Rodriques, ebbero la lungimiranza di investire sulla novità. Inserendosi con prontezza nel quadro legislativo avviato nel dopoguerra per lanciare il turismo. Dalla collaborazione con l’architetto Rovigo e gli ingegneri Cannata, Cutrufelli e Gregorio, interpreti dei nuovi orientamenti della modernità, nacquero il Lido delle Mortelle e il liminare Lido del Tirreno. Parti differenti di un generale piano di urbanizzazione della marina. Sul quale si è soffermata recentemente, per proporne il restauro conservativo, Isabella Frera, in “L’architettura moderna va in vacanza. Una città balneare sullo stretto di Messina” (Lettera Ventidue, pp. 170, euro 15,00).
Lo studio della Frera consente di capire cosa non ha funzionato. Non soltanto a Messina. La posizione di Mortelle sulla statale Messina-Palermo, avrebbe dovuto favorire la realizzazione di un circuito turistico fatto di altri stabilimenti analoghi. Così non è stato. Rimane Mortelle, con la grande “aragosta” che accoglieva i bagnanti all’ingresso. Una estrosa pensilina d’accesso che colorava il progetto di Utzon per la Sydney Opera House. Un colore squillante che moltiplicato nella sequenza delle vele, dominava le cabine disposte a corte, le torrette, i chioschi e il totem a forma di clessidra che conteneva la torre dell’acqua.
Come le “navi” di Cattolica, costruite negli anni Trenta da Busiri Vici per una colonia marina, le “vele” di Mortelle diventano un racconto. Alludono al loro utilizzo, strizzano l’occhio al contesto. Le invenzioni decorative, dal disegno delle ringhiere all’uso contrastante dei colori, come le “sorprese” inserite in maniera ritmata, sono elementi caratterizzanti di una città in miniatura. Entrando nella quale si aveva l’impressione di trovarsi in un altro mondo. Moderno e colorato, ordinato e funzionale. Insomma molto diverso da quello che si lasciava fuori.
9 Agosto 2012