Fareed Zakaria, editorialista di origini indiane su temi di politica internazionale, è stato sospeso dalla rivista Time e dal canale CNN per avere copiato un paragrafo sul tema del controllo delle armi da un precedente pezzo apparso sul New Yorker nell’aprile scorso. Lo stesso Zakaria ha ammesso il proprio errore definendolo “terribile”, ma ciò non ha indotto Time e CNN a perdonarne il comportamento.
Intendiamoci: Nel mondo diverso ma affine della ricerca gira il detto secondo cui “copiare da uno è plagio, mentre copiare da molti è ricerca”, ma il tema dell’originalità di commenti ed articoli non può essere trattato alla leggera. Chi vende contenuti mediatici tipicamente lo fa sulla base della premessa che si tratti di contenuti nuovi, o presentati in maniera nuova, di modo tale che il lettore o ascoltatore possa ritenere “giusto” il prezzo che paga, in termini monetari e/o di tempo. L’etica del giornalismo proibisce il plagio, ed è sensato che le testate editoriali si tutelino sospendendo o licenziando chi si macchia di questa colpa. Qualora non lo facessero, gli incentivi sarebbero pessimi: chiunque si sentirebbe giustificato a copiare testi altrui in assenza di conseguenze negative. Non solo: i clienti (lettori e inserzionisti pubblicitari) della testata “perdonista” potrebbero giustamente smettere di accordarle la propria fiducia nel futuro.
Come vengono trattati casi simili, anzi peggiori, dalle nostre parti? A quanto pare con una robusta dose di perdonismo, cioè evitando qualsiasi sanzione che sia degna di questo nome. Quali sono gli esempi più recenti di questa attitudine molle alla questione? Il primo caso che mi sovviene è quello di Stefano Zamagni, professore di economia all’Università di Bologna, il quale –insieme a Flavio Del Bono- ha tradotto in maniera pressoché letterale parti del libro di microeconomia di Robert Frank all’interno del loro testo di microeconomia in italiano (si veda al proposito la lettera del professor Lucio Picci all’allora direttore del dipartimento di economia di Bologna, in cui si lamenta l’assenza di provvedimenti contro Zamagni). Come originariamente rilevato da Federico Varese in un pezzo su Belfagor del 1996 (si veda qui il pdf del pezzo), Zamagni aveva già letteralmente copiato brani del filosofo Robert Nozick, senza citare Nozick stesso in alcun punto dei saggi incriminati. Agli atti non risultano sanzioni pesanti ai danni di Zamagni, né in ambito accademico né in altri ambiti, ad esempio quello politico. Tanto per dire, nel 2007 Zamagni è stato nominato dal governo Prodi presidente dell’Agenzia per le Onlus ed ha continuato ad agire come consultore presso il Pontificio consiglio della giustizia e della pace, presso la Santa Sede (vi facilito il compito, la fonte è Wikipedia, ma le informazioni sono di dominio pubblico).
Su Twitter Claudio Giua mi ha anche ricordato il caso di Umberto Galimberti, filosofo ed editorialista per le testate del Gruppo Espresso, il quale è stato per primo “beccato” da Vincenzo Altieri a copiare brani di Giulia Sissa, professoressa al dipartimento di scienze politiche presso la UCLA (si vedano qui le sospette somiglianze trovate da Altieri). Anche in questo caso non risultano sanzioni di alcun tipo contro Galimberti.
Vi sarebbero molte riflessioni da fare a proposito di questa diversità di trattamento per casi simili in paesi diversi. Qui mi limito a sottolineare come l’idea di meritocrazia non possa mai prescindere da una forma di etica della responsabilità, secondo la quale i comportamenti dolosi o gravemente colposi vanno sanzionati, sia a livello giuridico che a livello sociale. A questo proposito, i cosiddetti “intellettuali” dovrebbero essere i primi a dare il buon esempio.