“Se acquistassimo titoli a lungo termine ci troveremmo in un situazione molto delicata, mentre se acquistiamo sul mercato a breve termine, dove i titoli hanno scadenza a uno, due o tre anni, l’effetto di finanziamento monetario è pressoché nullo.”
(M. Draghi)
Questo ha detto il presidente della Bce durante un’audizione all’Europarlamento. Draghi sta cercando di mettere sul tavolo argomenti che ammorbidiscano la linea dei Paesi contrari agli acquisti di titoli di Stato italiani e spagnoli da parte della banca centrale, Germania in primis.
Si può capire il suo punto di vista, anche non condividendolo. Io, per esempio, non lo condivido; ossia, credo che acquistare titoli di Stato rimandi il problema, dando al più una momentanea sensazione di sollievo, senza però risolvere nulla.
Ciò detto, sarebbe bene però che ognuno usasse argomenti veritieri. E questa volta Draghi ha un po’ esagerato. L’acquisto di titoli sul mercato secondario da parte della Bce avviene a fronte dell’immissione di denaro, che viene incassato da chi vende i titoli. Da dove prende la Bce questo denaro? Dal nulla, nel senso che lo crea, aumentando di conseguenza la base monetaria (dato che adesso non si parla di sterilizzazione di tali acquisti mediante la vendita di altri asset).
In sostanza, un momento prima che la Bce acquisti 100 euro di titoli, in circolazione ci sono 100 euro di base monetaria in meno, mentre successivamente all’acquisto l’attivo di bilancio della Bce aumenta di 100 euro di titoli, e il passivo aumenta di 100 euro di base monetaria, che sarà all’attivo di chi ha venduto i titoli.
Draghi sostiene che se i titoli acquistati hanno una scadenza relativamente breve, fino a tre anni, ciò non deve essere considerato finanziamento monetario. Il motivo sarebbe la temporaneità dell’aumento della base monetaria. La cosa non mi convince.
In primo luogo, affinché l’aumento di base monetaria sia effettivamente temporaneo, è necessario che i titoli acquistati non siano rinnovati una volta giunti a scadenza, altrimenti l’effetto si perpetua. E ciò non solo se la Bce rinnova gli acquisti, ma anche se il rinnovo viene fatto da banche che poi scontano quei titoli presso la stessa Bce.
Posta questa condizione, si potrebbe allora definire temporaneo qualsiasi aumento di base monetaria avvenuto a fronte di un acquisto di titoli da parte della banca centrale, anche qualora avessero scadenza a 10 o 30 anni. Stabilire che 3 anni va bene e 5, 7 o 10 non va bene è piuttosto arbitrario. Qualcuno, ad esempio, potrebbe sostenere che sarebbe meglio non comprare nulla al di sopra dei 12 mesi.
Ma, a ben vedere, il problema è proprio che la temporaneità dell’aumento di base monetaria è tutt’altro che garantita. Si tratterebbe, realisticamente parlando, di un’eccezione alla regola, dato che il debito giunto a scadenza viene solitamente rinnovato (anzi, incrementato, tenendo conto dei deficit annui da finanziare).
Credo, quindi, che non esistano argomenti tecnici convincenti per sostenere che l’acquisto di titoli entro i 3 anni non costituisca finanziamento monetario. Si tratta, a ben vedere, di una decisione meramente politica. I cui effetti, temo, saranno alla lunga negativi.
Matteo Corsini