MamboC’è voglia di giustizia sociale, e per questo i vecchi (elettori) non stanno con Bersani

Forse Bersani dovrebbe tener d’occhio i suoi coetanei piuttosto che i “ggiovani”. Molti si sono impressionati per la forza d’urto della polemica di Renzi contro i vecchi elefanti della politica che...

Forse Bersani dovrebbe tener d’occhio i suoi coetanei piuttosto che i “ggiovani”. Molti si sono impressionati per la forza d’urto della polemica di Renzi contro i vecchi elefanti della politica che spesso è degenerata in uno stato d’accusa generale verso gli anziani. Non sto qui a discutere su questa polemica. Ho già detto quello che penso e ci metto un punto.

Da osservatore della politica annoto una sola cosa che offro alla riflessione di Bersani e dei suoi amici e sodali. Questa polemica contro i vecchi, e in particolare contro i vecchi in politica, non ha sollevato una levata di scudi indignata fra i coetanei. Non ci sono notizie di vecchi militanti che si sono “incazzati” contro Renzi. Quello che più indispone questa generazione è piuttosto il tono disinvolto con cui Renzi tratta delicate questioni sociali e quella sua aria da democristiano furbetto che traspare. Ma una rivolta dei vecchi contro Renzi non c’è.

Non so quanto l’argomento generazionale convinca i più giovani ma sicuramente non inquieta i più vecchi. Chi viene dalla vecchia sinistra è posto di fronte a un atteggiamento che dovrebbe già conoscere e che viceversa ha dimenticato. Nelle vecchie sezioni comuniste e socialiste l’ansia di rinnovamento generazionale era assai forte nella base popolare. Messe in salvaguardia alcune figure carismatiche che meritavano rispetto e considerazione, i militanti di quei due partiti popolari festeggiavano sempre la presenza di nuovi giovani e, una volta ottenuto da loro il rispetto delle regole, erano entusiasticamente favorevoli alla loro presenza nei gruppi di comando. Di rado si assisteva a una battaglia di giovani contro vecchi, più frequentemente di vecchi che portavano avanti giovani contro altri vecchi che resistevano al ricambio. Questa è stata la storia concreta nei vecchi partiti di cui non credo si sia persa memoria.

C’è poi un altro dato altrettanto concreto che il gruppo dirigente che non vuole farsi da parte sottovaluta. La generazione che ha la stessa età dei leader che resistono nei posti di comando è in pensione o sta per andarci. È in pensione o sta per andarci registrando un passo indietro nelle condizioni di vita. Invecchieranno peggio di come hanno vissuto. I loro coetanei in politica no. Invecchiano meglio di come hanno vissuto. Nessuno di loro, anche fra quelli che hanno più svettato, ha ritagliato per sé l’immagine che consegnava alla storia personaggi come Lama, Paietta, Iotti, per fare solo alcuni nomi. Voglio dire che nessun vecchio è percepito come un padre della patria o più semplicemente del partito. Per questo il rapporto fra i anziani declassati dall’età della pensione e i loro coetanei bacianti dalla politica è un corpo a corpo che fa emergere le diseguaglianze e le ingiustizie.

È questo stato d’animo che spinge molti vecchi a non tifare per Bersani e i coetanei di Bersani e tanti di loro a guardare con simpatia a Renzi come a un giustiziere. I partiti di oggi sono cose fragili e prive di passione, in cui le leadership non sono percepite come frutto di una selezione giusta ma come somma di fortune e di disinvoltura. C’è nell’atteggiamento dei vecchi che non simpatizzano per i vecchi un fondo di rancore sociale che Bersani dovrebbe analizzare. E soprattutto che dovrebbe spingere anche uno solo (ma non ce n’è uno solo?) dei vecchi a dire: “Per me la corsa finisce qui. Se volete, chiamatemi. Ma ho finito. La partita è pari e patta. Ho dato e ho avuto. Avanti gli altri”.  

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